I Love America, la recensione
Concepito per un'esaltazione e assoluzione delle fantasie della stessa regista, I Love America non riesce a dire niente di niente su nulla
Ci sono film la cui inconsistenza è evidente già a metà visione, quando è ormai chiaro che la trama non stia andando da nessuna parte, che i personaggi su cui si concentra tutto non siano messi a fuoco ma abbiano le caratteristiche utili a provare un punto per chi il film lo ha scritto e diretto, e quando infine tutto quel che si vuole dire si esaurisce in una mortale formula di autoassoluzione, un’esaltazione di sé attraverso l’avatar di un personaggio cinematografico, in forma di commedia rigorosamente non divertente. È una pratica per fortuna non troppo frequente ma sufficientemente abusata da poterla riconoscere, e questa volta è toccato a Lisa Azuelos.
In compenso c’è veramente veramente tanto di irritante in I Love America che non è attenuato nemmeno dalla presenza sempre dolce e tenue di Sophie Marceau (la quale si impegna e si dà al film ad occhi chiusi, credendoci così tanto che quasi commuove). Quest’avventura priva di un vero intreccio, che pretende di fare quel lavoro complicatissimo che è ritrarre la vita per come si svolge, senza però la fatica e il lavoro di cesello indispensabile sul numero di scene, i dialoghi, la naturalezza e la creazione di un’atmosfera accogliente per lo spettatore, è un supplizio ingiusto per chiunque. Nell’inferno del cinema è questo il tipo di film che i diavoli proiettano a rotazione ai dannati, quelli concepiti pronunciando la frase “La mia vita è proprio perfetta per un film!” ad un amico sicofante che annuisce distrattamente, dopo un appuntamento andato male.