I Know This Much is True: la recensione

La miniserie HBO I Know This Much is True fonde lo stile di Derek Cianfrance ad una preziosa doppia interpretazione di Mark Ruffalo

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I Know This Much is True: la recensione

C'è una grande lezione di interpretazione in I Know This Much is True, anzi forse più di una, e non solo perché Mark Ruffalo qui ha due ruoli. In questo senso la miniserie della HBO molto spesso si rispecchia nella bravura conclamata – non la scopriamo certo oggi – del suo protagonista, e diventa vetrina per il suo talento. Ruffalo ha un'intensità tutta sua nel dar vita alle sfumature dei gemelli protagonisti della storia, un'inquietudine profonda che gli chiede tutto e a cui lui dà tutto se stesso. È lui a trarre il meglio dalla miniserie basata sul romanzo omonimo, scritta e diretta da Derek Cianfrance.

Si tratta della storia travagliata di due fratelli, Dominik e Thomas, con il secondo affetto da disturbo schizofrenico. La vicenda narrata prevalentemente dal punto di vista di Dominik è quella di un'odissea senza respiro alla ricerca di un equilibrio con le tragedie che si sono abbattute e che continuano ad abbattersi sulla propria esistenza. Un'infanzia turbolenta, il malessere del fratello, il matrimonio finito, una tragedia personale. I Know This Much is True è anche il racconto di un'elaborazione del dolore e della convivenza con esso, ma, a differenza di tutte quelle storie, non parte da una condizione di stasi dalla quale rialzarsi, ma da una voragine di spossatezza e disillusione e rabbia che rischia di risucchiare tutto.

Per chi conosce il cinema di Derek Cianfrance, si tratta di una nuova vicenda elaborata nel solco di un malessere storico, qualcosa di radicato e potente che va oltre i percorsi dei personaggi. C'è senza dubbio qualcosa di biblico del rapporto tra due fratelli, con uno chiamato ad essere il guardiano dell'altro. Dominik si identifica nella protezione e difesa del fratello, perché lo ama, ma anche perché si assume così la penitenza per essere il gemello graziato dal destino e dalla genetica. C'è quindi un senso di colpa profondamente radicato, forse una colpa storica da espiare che assume diverse sfumature, ora personali, ora simboliche, ora sociali.

La miniserie – che, si sarà capito, è una visione forte e pesante – riprende quindi un'idea di rapporto che non arricchisce, ma consuma. Come in Blue Valentine e La luce degli oceani, il passato grava sul presente come una spia che indica che qualcosa non funziona, ma senza la possibilità di ripararlo.

Tanto in superficie quanto in profondità, I Know This Much is True elabora la sua storia con un certo metodo. E nel farlo attrae quante più tematiche e spunti possibili. Si tratta di una scelta coraggiosa che eleva la serie oltre il semplice racconto drammatico, ma che aggrava ulteriormente la visione e rischia di non essere sviluppata del tutto. Come in una sorta di personale "pastorale americana", la miniserie costruisce tutto un retroscena storico per la vicenda, che diventa riflesso per raccontare radici familiari, problematiche sociali, ricorsi storici. Nei suoi momenti migliori, la sensibilità del racconto riesce a filtrare grazie alle interpretazioni e ad un realismo quasi fastidioso, mentre in altri momenti il dramma raggiunge vette quasi insostenibili.

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