I fratelli De Filippo, la recensione
Dei fratelli De Filippo, il film di Rubini non è che una biografia didascalica e illustrativa, dove tutti i passaggi sono sottolineati dai dialoghi e il paesaggio è da cartolina
Mario Martone ricorre al biopic per intrecciare dinamiche famigliari al contesto storico, riflettere sul passaggio tra tradizione e modernità, focalizzandosi sulla figura del padre, ma di riflesso parlando anche della condizione dei figli. Il film di Sergio Rubini, assumendo invece in toto la prospettiva di questi ultimi, propone alcuni spunti, ma non ne approfondisce nessuno. Esplicita l’ombra ingombrante che Scarpetta getta sui tre fratelli, il loro desiderio di emancipazione, la posizione privilegiata di Eduardo che "tiene la sua arte", ma si focalizza sulla relazione tra di loro, in una netta suddivisione tra i caratteri (Eduardo il risoluto, Peppino il riluttante, Titina la concreta). In parallelo, viene dato anche spazio al figlio legittimo Vincenzo, che, privo di talento, cerca di fare fortuna ricalcando le orme del padre, finendo per pagarne le conseguenze; ma la sua è una figura solo abbozzata, mero avversario dei protagonisti. Lo sviluppo non è dunque funzionale a portare avanti un discorso più ampio, quanto solo a raccontare fedelmente la biografia dei protagonisti.
I fratelli De Filippo non è un affresco storico, non è una riflessione sull’arte teatrale: Totò e Pirandello, altre figure cardine del panorama dell’epoca, passano come sbiadite figurine, tutte connotate negativamente. È semplicemente un convenzionale racconto della forza e dell’unità di una famiglia, che lotta da sola contro tutte le avversità, che supera indefessa tutte le divisioni per ritrovarsi insieme sul palco. Non mancano neppure le didascalie finali correlate da fotografie originali, per un’impressione complessiva di santino.