I figli del silenzio, la recensione
Abbiamo recensito per voi I figli del silenzio, graphic novel di Andrea Garagiola e Cristian Di Clemente
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
La nuova graphic novel di Edizioni Inkiostro, arrivata in fumetteria lo scorso aprile, si intitola I figli del silenzio e porta le firme di Andrea Garagiola ai testi e di Cristian Di Clemente alle matite.
La storia contenuta nel volume si avvia come il resoconto drammatico dell'esperienza di un ex veterano della Seconda Guerra del Golfo, avvenuta nel 2003. Alex è uomo forte, ma solo in apparenza, e sembra aver rimarginato solo le ferite subite dal corpo; quelle della mente, devastata dalle violenze disumane del conflitto, sono invece ancora aperte e sanguinanti.
I figli del silenzio è a tutti gli effetti la parabola di un cammino salvifico in cui la prospettiva canonica è completamente ribaltata e i poli tradizionalmente rappresentanti da bene e male rovesciati. La denuncia è duplice: nei confronti della Chiesa e degli scempi della guerra. Il fumetto, sorretto da un'ottima sceneggiatura e da una regia ficcante e dirompente, è notevole anche per la qualità dei disegni, ma mostra qualche debolezza nel soggetto e nella concezione generale. È una vicenda fantastica anche se ispirata a eventi reali, e per tale motivo dovrebbe possedere valenze metaforiche, ma il suo proposito non è minimamente velato dalla sovrastruttura narrativa ed è di subitanea comprensione. La similitudine è per nulla sottintesa e, di conseguenza, il messaggio complessivo non viene mediato e quindi esaltato dal linguaggio figurato.
Il risultato finale, quello per cui è stato realizzato questo racconto, colpisce nel segno e arriva dritto e indigesto alla nostra sensibilità forzandoci a riflettere, ma non se ne comprende allora la trasposizione surreale. Il meccanismo che sta alla base è come avvitato su stesso, prigioniero del proprio scopo e della propria morale. Il tutto sbanda pericolosamente nelle scene finali, che potremmo definire senza alcuna accezione negativa squisitamente trash, ma prive di un qualunque accenno di autoironia.
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