I delitti del BarLume (prima stagione): la recensione

Intrattiene bene la trasposizione in due puntate dei romanzi di Marco Malvaldi, ma al tempo stesso difetta in scrittura e caratterizzazioni

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Carte sul tavolo, belle curve dietro il bancone e morti non molto chiare sulle quali viene gettata un po' di luce: questi gli ingredienti di I delitti del BarLume, trasposizione di due romanzi (Il re dei giochi e La carta più alta) dello scrittore Marco Malvaldi frutto di una collaborazione tra Sky, La7 e la casa di produzione Palomar, nota soprattutto per la realizzazione delle avventure televisive del Commissario Montalbano. Ed è facile intravedere nell'anima popolare della serie più di un riferimento all'universo ideato da Camilleri. Un'anima che è toscana nel primo caso, siciliana nel secondo, ma che è intimamente legata al contesto territoriale in cui le indagini prendono, quasi casualmente, forma, e che ne rappresenta spesso la necessaria controparte comica nelle sue esasperazioni dialettali e in alcuni situazioni tipiche che scivolano nella macchietta.

Tutto ruota intorno alle disquisizioni di quattro anziani avventori del Bar Lume di nome Ampelio (Carlo Monni, recentemente scomparso), Aldo (Massimo Paganelli), Pilade (Atos Davini) e Gino (Marcello Marziali), che tra un partita a carte e l'altra si "impicciano" di fatti non loro, sfruttando la loro grande conoscenza dei fatti accaduti nel passato nella zona e cavalcando un certo malcelato gusto per il pettegolezzo. A farne le spese, e spesso a sfruttare le intuizioni dei quattro anziani fino a giungere alla soluzione del caso, è il gestore del bar, Massimo (Filippo Timi), segretamente, ma nemmeno troppo, invaghito della bellissima barista Tiziana (Enrica Guidi)

Con I delitti del BarLume appare chiaro il desiderio di Sky di allargare il proprio target di riferimento con un prodotto più accessibile e dai toni più leggeri rispetto ad altre produzioni del network (la bellissima versione italiana di In Treatment o Romanzo Criminale). La narrazione oscilla costantemente tra il dramma e la commedia, con poche concessioni al primo e un pedale più schiacciato sul tono leggero della narrazione. Intervengono quindi, in maniera troppo presente e a volte fastidiosa per la visione, esclamazioni e dialoghi in toscano (bocciata soprattutto la voce narrante), ma anche delle eccessive concessioni nel voler a tutti i costi sottolineare le grazie del personaggio di Tiziana (che sicuramente sono più che gradevoli, ma che al tempo stesso producono quasi un effetto straniante per come vengono mostrate).

Il nucleo centrale della storia, fondamentalmente identico nei due episodi, intrattiene bene e trova in Filippo Timi un buon interprete. Evidentemente il contrasto tra il timbro vocale grave dell'attore e l'impostazione seriosa del suo personaggio e le sue azioni, che spesso lo vedono coinvolto in momenti surreali o comici, non è voluto, ma l'effetto che ne deriva funziona e certamente ne fa il personaggio più interessante, sicuramente l'unico al quale si riesce a dare un certo spessore oltre le caratteristiche fondamentali che invece dominano nelle caratterizzazioni dei quattro vecchietti – praticamente indistinguibili l'uno dall'altro – o del serissimo Commissario Fusco (Lucia Mancino).

I Delitti del BarLume rinuncia quindi ad una certo approfondimento dei suoi caratteri, che forse avrebbero necessitato di più episodi per diventare davvero familiari, e non riesce a far risaltare quanto vorrebbe la dimensione toscana al di fuori dei bei paesaggi, valorizzati dalla regia di Eugenio Cappuccio. Una visione leggera, come nelle probabili intenzioni originali, ma anche incolore e poco incisiva.

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