I cieli di Alice, la recensione

In I cieli di Alice rimane forte il sospetto che la volontà estetizzante sia più una scelta di stile a prescindere che uno strumento ragionato e davvero utile al racconto, che difatti si rivela piuttosto incerto.

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La recensione de I cieli di Alice, al cinema dal 15 febbraio

Tra i colori pastello della fotografia di Hélène Louvart (Lazzaro Felice), un morbido prologo in stop-motion tra le montagne svizzere, fondali dipinti come se si recitasse a teatro e l' innocenza del viso arrossato di Alba RohrwacherI cieli di Alice comincia decisamente all’insegna della leggerezza e dei buoni sentimenti. Storia di un'abbiente famiglia libanese prima e durante la guerra civile del 1975, questo film d’esordio della regista e sceneggiatrice Chloé Mazlo si pone fin da subito come un’opera-giocattolo dalla messa in scena naïf, tra il teatrale e il favolistico, dallo spirito incantato e dai personaggi stralunati (e dalla recitazione parimenti stralunata). Forse ricercando la sua forza e originalità in un linguaggio paradossale, il film racconta qualcosa di durissimo come la guerra e, nello specifico, sentimenti adulti e profondi: cosa succede tra delle persone che si amano quando qualcosa di più grande le costringe a fare scelte radicali? 

Questa mossa azzardata e possibilmente suicida di giocare su contrasti così marcati tra ciò che si vede e ciò che si racconta è tutto sommato ben gestita da Mazlo, nonostante sbavature qua e là (la poca forza simbolica delle scene-intermezzo, dove personaggi mascherati interagiscono in piccoli riquadri dalla dubbia utilità narrativa), eppure il forte sospetto è che la volontà estetizzante sia più una scelta di stile a prescindere che uno strumento ragionato volto a dare un senso ulteriore alla storia. Costumi, scenografia, fotografia: tutto molto grazioso, niente da ridire, ma questa patina zuccherata un po’ furbamente sembra semplicemente mascherare una storia a tratti confusa, dal focus incerto.

Più che la storia di Alice (Alba Rohrwacher), di cui seguiamo l’arrivo a Beirut dalla Svizzera come ragazza alla pari e che sappiamo voler tagliare le radici con il passato (con una scena decisamente tautologica dove taglia le radici dalla suola delle scarpe), I cieli di Alice è infatti più che altro un racconto corale che dà spazio un po’ a tutti e un po’ a nessuno, in primis al marito Joseph (Wajdi Mouawad, la cui recitazione è la vera perla nascosta), ingegnere aerospaziale che man mano diventa sempre più importante e centrale nel suo conflitto fino ad oscurare Alice stessa, che rimane un personaggio "di cartapesta" dall'inizio alla fine.

Brulicante di personaggi riempitivi, che fanno da collante tra scene statiche che si alternano una dopo l’altra come in piccoli tableaux vivants, I cieli di Alice ad un primo impatto può ricordare il cinema di Wes Anderson ma a guardare bene non potrebbe esserne più distante. Non solo perché qui la parola è quasi azzerata, laddove in Anderson è cruciale; ma soprattutto perché qui la realtà è sovrastata da un mare di finzione, ottenendo uno straniante effetto “costruito”, laddove in Anderson la storia emerge come reale e vera nonostante tutto sia irreale e volutamente finto. 

Insomma in I cieli di Alice la forma vince decisamente sul contenuto, ma se ci si accontenta del buon cuore dell’epilogo e della sua indubitabile dolcezza, almeno la fine lascerà con un buon sapore in bocca. Rigorosamente di zucchero.

Siete d’accordo con la nostra recensione di I cieli di Alice? Scrivetelo nei commenti!

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