I bambini sanno, la recensione
Tutti in I bambini sanno ripetono ciò che hanno sentito dire. Per i bambini sono le frasi degli adulti, per il film i luoghi comuni della peggior televisione
"Non si può vivere in un'Italia in cui un giorno stai bene e il giorno dopo scopri che devi pagare 15.000€ di più". "Uno lavora e si sente dire alla fine dell'anno: sei licenziato". "In questa società siamo tutti che non ci capiamo nessuno. Non ci conosciamo. Ci conosciamo solo su Facebook". "Una figlia ha di un padre la figura di un supereroe". "L'adolescenza è meglio godersela".
In realtà, come moltissimi altri passaggi dimostrano, i bambini sanno solo quello che i loro genitori gli dicono o che origliano nelle conversazioni degli adulti o ancora che sentono in televisione. Lo si capisce dalla maniera in cui immaginano paradiso e inferno (tutti nella stessa maniera e con pochissima fantasia), dai dogmi religiosi che esprimono ("Dio ha inventato uomo e donna perchè facciano figli") o dalla retorica ("Sono un bambino, ho ancora la mente fresca"). L'idea stessa di I bambini sanno, per il taglio che il suo regista (Walter Veltroni) ha voluto dargli, è senza nessun senso che non sia la conquista dei cuori meno difficili da conquistare.
Eppure alla base di I bambini sanno ci sarebbe un lavoro di selezione del materiale di partenza (i bambini da intervistare) che se maneggiato altrimenti poteva davvero portare altrove, su lidi nettamente più significativi. Veltroni scarta qualsiasi bambino "banale" e cerca solo quelli con una storia originale alle spalle, solo gli appartenenti ad una minoranza o quelli su cui le videocamere altrui (cinema, tv e giornalismo) non si posano quasi mai. Fa parlare chi di solito non parla e non a caso le parti in cui i bambini raccontano da dove provengono, chi sono i loro genitori o che storia hanno dietro sono le migliori, perchè mettono in pratica il vecchio motto per il quale "il privato è politico".
Il privato di questi bambini sono storie di difficili immigrazione, di genitori omosessuali, di vita in un campo Rom, di quotidianità a Lampedusa, di nonni uccisi dalle Brigate Rosse, gemelli down, malattie allucinanti sconfitte già in tenera età, emarginazione per eccesso di talento, case occupate, padri operai di fabbriche chiuse, padri bigami o ancora padri inesistenti. C'è di tutto e ogni storia racconta qualcosa che devìa in qualche modo dalla "famiglia tipo". Da sola questa carrellata è un'affermazione politica potentissima: la parola a chi non parla mai, le videocamere su chi non è mai ripreso, non è mai rappresentato nè viene mai raccontato.
Purtroppo però si tratta solo di una base stracciata dal film finito, diviso per argomenti in capitoli intitolati "Amore", "Famiglia", "Futuro".... Una ricerca del kitsch e dello stereotipo della tenerezza che ammazzerebbe qualsiasi ambizione.