I Am the Night: la recensione

La nostra recensione di I Am the Night, miniserie con Chris Pine e India Eisley

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Sullo sfondo di I Am the Night c'è il noir di ambientazione hollywoodiana, con uno dei suoi miti più noti e tragici, quello della morte della Dalia Nera. Eppure quel caso di cronaca arriva solo tangenzialmente, e dopo molto tempo, a sporcare la storia raccontata dalla miniserie di TNT, che di per sé avrebbe già vari punti sensibili da esplorare. C'è un dramma personale profondissimo e terribile al centro della storia, ma si parla anche di una visione d'epoca – siamo negli anni '60 – che risente dei tumulti razziali, e c'è il tentativo di tradurre per immagini un memoir che racconta una storia vera, di quelle stranger than fiction. Le ottime performance dei due protagonisti sorreggono la serie, ma un intreccio troppo diluito ci lascia tuttavia con la sensazione che forse il lungometraggio sarebbe stato il mezzo migliore per raccontare questa storia.

Fauna Hodel (India Eisley) è una giovane bianca cresciuta nella convinzione di essere una mulatta. Il suo piccolo mondo è definito all'inizio della palese contraddizione che lei stessa rappresenta, imperdonabile in quegli anni, e che la colloca a metà tra due gruppi rigidamente divisi. Tutto cambia nel momento in cui scopre un segreto sulle proprie origini. Ciò la spinge ad andare a Los Angeles per cercare di rintracciare la propria famiglia. Qui, nella città dei sogni che in un'ottica da noir si trasforma nella città degli incubi, la sua strada si incrocia con quella di un giornalista di nome Jay Singletary (Chris Pine). Insieme, si trovano ad indagare sui segreti di una potente famiglia, tra pratiche immorali, segreti inconfessabili, e un senso crescente di pericolo.

Al timone produttivo e registico (per le prime due puntate) della serie c'è Patty Jenkins. Si ripropone quindi con Chris Pine il fortunato sodalizio già visto in Wonder Woman. Evidentemente I Am the Night è un prodotto totalmente diverso. Dark and gritty come il noir richiederebbe, ma a modo suo, e molto più a suo agio nello scivolare verso il territorio del puro dramma familiare. Il senso del marcio, la violenza, la violazione proprio dove una persona dovrebbe sentirsi più protetta: tutto ciò è infatti veicolato più dai dialoghi e dall'intreccio che dalla forma della storia. Che ad un certo punto troverà anche il modo di trasportarci alle Hawaii (luogo decisamente lontano dall'immaginario noir).

Allora nel primo episodio lo spunto interessante sarebbe quello razziale, che tuttavia viene sfruttato poco nel resto della storia, solo per ricomparire alla fine con un accenno alle rivolte di Watts. Si tratta di un riferimento tematico, ma quasi incidentale nel suo correre parallelo alla storia senza aggiungere nulla di rilevante. Quando assume uno sguardo più ampio, la serie scritta da Sam Sheridan e Monica Beletsky non ha una forte visione storica, ma trova sempre un ottimo rifugio nelle caratterizzazioni e nelle interpretazioni dei due protagonisti.

Chris Pine interpreta con agilità questo personaggio meschino in partenza, ma con degli scrupoli morali ben definiti e che non mancheranno di emergere. Ma il carico drammatico della storia ricade su India Eisley, che raccoglie bene la sfida con un'interpretazione fatta di sguardi e apparente fragilità. È lei a trascinarci nel lento svelamento di una vicenda familiare fatta di cieca obbedienza, che parla anche di pregiudizio sociale, positivo o negativo.

Al termine della visione rimane una storia soddisfacente, che ha un cuore forte e due grandi interpretazioni, ma che probabilmente avrebbe funzionato meglio con una formula più ridotta rispetto ai sei episodi che la compongono.

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