Hysteria - la recensione

La nascita del vibratore a fine ottocento in Inghilterra diventa un divertentissimo pretesto per una commedia R-Rated intrisa di irresistibile umorismo british...

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Prima di quanto si è soliti pensare il vibratore ha fatto il proprio ingresso nella vita quotidiana di tante donne occidentali. Ci riuscì senza grandi impedimenti grazie all’idea generale che fosse uno strumento medico con cui curare quella che all’epoca veniva considerata una malattia, ovvero l’isteria femminile. Non poteva essere altrimenti, visto che già a Londra nel 1880, epoca vittoriana quindi, alcuni dottori adoperavano le proprie mani per curare un inappagamento sessuale mascherato da disturbo psicologico che solo, ahinoi, attraverso l’orgasmo clitorideo sembrava potere essere lenito. E così, l’invenzione del dottore Mortimer Granville e del suo caro amico Lord Edmund Saint John-Smythe, partita da uno spolverino elettrico, non ci mise molto ad affermarsi come efficiente strumento fai da te.

Una storia senza dubbio stimolante che nelle mani della regista Tanya Wexler (una laurea in psicologia e tanta voglia di fare la regista: per fortuna accompagnata da un vero talento, questo è il suo terzo film) diventa una divertentissima commedia capace di giocare castamente, ma senza ipocrisia, sul piacere carnale, il desiderio e, in definitiva, sul femminismo in senso generale. La bella sceneggiatura scritta dalla coppia marito e moglie Stephen e Jonah-Lisa Dyer tratteggia i personaggi per contrasto (una sorelle è vitale e strabordante, l’altra troppo educatamente convenzionale, un dottore è sensibile e idealista, l’altro avido di cuore quanto di aristocratia rispettabilità), ma non tanto da banalizzarli. I loro rispettivi cambiamenti avvengono in maniera graduale e sensibile, senza strappi, anche nei pochi momenti drammatici e di riconciliazione. La rappresentazione del godimento femminile, anche quando caricaturale, non prende mai in giro, ma anzi finisce con il toccare anche l’occhio di un uomo che può, in certi casi giustamente, sentire messe in discussione le proprie abilità da amante. E così, tra una regina britannica che, curiosa, apre una scatola destinata ad accompagnare (forse) alcune sue sere di solitudine e una società maschilista che si appresta a vivere un’attenzione sempre maggiore verso la parità dei diritti civili (sia quelli legati al genere che al ceto), Hysteria scorre veloce verso i simpatici titoli di coda in cui, in rapida successione, vengono mostrate le varie evoluzione di questo penetrante massaggiatore che ancora oggi, in tante forme, dimensioni, colori e vibrazioni, fa parte delle vite di molti di noi.

Piccola nota per finire sul cast: Rupert Everett è sempre simpatico, ma stavolta sembra davvero avere esagerato con i lifting: è irriconoscibile e al massimo gli escono dei ghigni dal viso, nessuna espressione in più. Maggie Gyllenhall rimane un tipo che può piacere, ma il fatto che ormai il cinema gli ricami quasi sempre addosso ruoli in cui ciò che gli manca in termini di sex appeal viene recuperato attraverso il commuovente idealismo politico, comincia forse a starle stretto. Felicity Jones (la sorella più piccola) si conferma come una delle bellezze più fresche del cinema contemporaneo e la vedremo sempre più spesso (solo al Festival di Roma 2011 ha ben tre film, tra cui la rivelazione Sundance dell’anno, Like Crazy). Hugh Dancy con quella faccia da bravo ragazzo fa il suo, ma rimane una copia un po’ smorta, sia per ruoli che fisicamente, dello Hugh Grant dei vecchi tempi.

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