Hunted: la recensione della prima stagione
Il commento alla prima stagione della serie di spionaggio con Melissa George..
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Hunted è l'ennesima prova di come il mondo della serialità britannica (leggasi BBC, ma al progetto partecipa anche l'americana Cinemax) abbia sempre meno da invidiare ai cugini d'oltreoceano e di come sia riuscito, nel corso del tempo, a costruire una propria forte identità. Una regia attenta e precisa, una storia – ideata da Frank Spotnitz (X-Files) – portata avanti con intelligenza e con il giusto ritmo e un corpo di interpreti nel quale non si riesce ad individuare nemmeno un anello debole: questi gli ingredienti alla base dello show.
Alla struttura di fondo del telefilm – che dunque riguarda la ricerca del traditore all'interno dell'agenzia privata – si sovrappone quindi l'azione di spionaggio vero e proprio, che vede incrociarsi i destini di gigantesche multinazionali, nuclei familiari spezzati e misteriosi personaggi che fin dal principio si fatica ad inserire nel complesso mosaico. Ecco, se di difetti si può parlare, l'unico elemento "ostico" è rappresentato da una storyline, anzi più storyline, non sempre chiare nel loro sviluppo, non per difetto degli autori ma per una precisa scelta stilistica che ripaga ampiamente nel finale di stagione.
Quando le parole non bastano e l'intreccio rischia di appensantirsi ulteriormente, Hunted sceglie di dialogare con lo spettatore attraverso la splendida messa in scena, l'ottima fotografia, i sottili rimandi visivi e/o concettuali da una scena all'altra: emblematico in tal senso nel pilot il montaggio che di fatto introduce la serie dopo il lungo prologo raccontando il periodo di riabilitazione della protagonista. Hunted è una serie che richiede costanza, pazienza e una notevole dose di attenzione, ma che al tempo stesso regala notevoli soddisfazioni e si fa apprezzare tanto per i valori tecnici impiegati quanto per l'intelligenza con la quale tratta lo spettatore.