Hunt, la recensione | Cannes 75

In un momento storico in cui anche la Corea Del Sud somigliava ad una dittatura, parti diverse dell'intelligence cercano con furia una talpa

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Hunt, presentato fuori concorso all'ultimo festival di Cannes

Chi è Donglim? Chi è la talpa nell’intelligence sudcoreana che passa documenti e informazioni ai nordcoreani con l’obiettivo di agevolare un attentato al primo ministro come testa di ponte per un’invasione dal Nord che soggioghi il paese al verbo di Kim Jong-Il? Agenzie contro agenzie più o meno segrete si indagano a vicenda con una violenza inusitata, con lo scopo di trovare e fermare Donglim. Si picchiano, si fanno screzi, si interrogano e si torturano con una malcelata approvazione del governo che ha tutto l’interesse a che si trovi questa talpa costi quel che costi.

Siamo nella Corea Del Sud di parecchi decenni fa, quando anche quel governo democratico aveva metodi, stile e controllo da regime, una in cui il confine tra vero e falso è sfumatissimo e molte esagerazioni condiscono la vera storia narrata. Esagerazioni da cinema coreano, cioè da cinema di genere e spettacolare, che in mano a Lee Jung-jae (protagonista di Squid Game, qui regista, sceneggiatore e protagonista) diventano ottime sequenze d’azione, specie il gunfight è di gran livello, e meno precise parti di sceneggiatura.

Hunt come si conviene al genere di spionaggio è confusissimo e se non si possiedono basi anche vaghe di storia recente coreana è faticoso da seguire (ma basta un’occhiata su Wikipedia per avere qualche coordinata utile a farsi un’idea ci cosa accada), perché la storia incrocia lo spionaggio con le proteste studentesche, cosa che mette al centro di tutto un forte desiderio da più parti di un cambio al vertice della Corea del Sud.
Ma se l’intelligence sudcoreana è doppia scopriremo che anche quella del Nord è composta da correnti, una più interventista e rivoluzionaria (che vuole portare la rivoluzione nel sud) e un’altra più belligerante e distruttiva. A regnare da entrambe le parti è un senso totale di corruzione in cui anche i meglio intenzionati hanno scheletri grossi nell’armadio, pratiche poco pulite e armi con cui possono essere ricattati.

Eppure in questo continuo delirio di azione e risse tanti contro tanti (come sempre nel cinema coreano gli scontri uno contro uno cui ci ha abituato il cinema americano e quello cinese sono più spesso soppiantati da risse di gruppo) emerge bene un’atmosfera fatta di intrighi finalizzati ad un colpo di stato. Una che confusa lo è anche per i personaggi, che coinvolge gli Stati Uniti ad un certo punto e che mette in dubbio ogni morale. Alla fine i personaggi (scoperte le carte di tutti) non saranno quel che pensavamo all’inizio e la maniera in cui torti e ragioni sono distribuiti creerà un modo di pensare cosa sia giusto e cosa sbagliato che non necessariamente è quello che potevamo prevedere.

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