Hunger Games: La ragazza di fuoco, la recensione [2]

Ripiegato sulle idee più vincenti del primo film questo seguito ha la fortuna di adattare una trama di suo piena di cartucce forti da sparare, ma Lawrence non ha la capacità di creare mondi di Ross e si vede...

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

DISCLAIMER: Gabriele Niola ha lavorato per la società che ha gestito, per conto della Universal Pictures Italia, la premiere nazionale di Hunger Games: la ragazza di fuoco. Di fatto è stato impiegato nella promozione. Noi di BadTaste abbiamo già recensito il film ma per completezza postiamo anche una seconda recensione di Gabriele, avvertendovi - per correttezza - dei rapporti economici che ha intrattenuto con la promozione del film.

 

***

 

La riuscita del primo episodio di Hunger Games è stato un evento che difficilmente si presenta. La più tipica saga letteraria di successo per un pubblico di giovani adulti che diventa un film molto serio, molto ben interpretato e trasposto con una quantità di idee superiori alla media del settore, tanto da contaminarlo di significati che vanno ben oltre quelli del libro da cui parte. Molto del merito è stato di Gary Ross, regista e scrittore bravissimo a manipolare sentimenti con delicatezza. Dunque la decisione di cambiare tutto il team creativo per i successivi episodi è in un certo senso una pietra pesantissima e, va detto subito, come era prevedibile il risultato non è stato esattamente all'altezza del primo film.

Nella storia sempre più radicale di come una ragazza povera e abbastanza noncurante di ciò che le avviene intorno (e questa già è un'idea forte: quanto Katniss rimanga eroina riluttante al suo ruolo, anche incline ad essere manipolata dal potere se serve a farle vivere una vita tranquilla), in un mondo futuro distopico e in uno stato che vessa e divide il suo popolo, diventi l'inconsapevole eroina di una possibile ribellione sempre lì lì per scoppiare, c'è una carica drammaturgica minima che diventa massima nel momento in cui entra in campo la protagonista, Jennifer Lawrence. E' innegabile che senza il temperamento drammatico fuori dal normale di quest'attrice straordinaria, la serie dei film Hunger Games non avrebbe la medesima potenza. Anche nei momenti meno convincenti, la capacità di Jennifer Lawrence di fare le cose più banali nella maniera più onesta (alle volte anche una smorfia, un pianto o un'espressione di sofferenza) rimette il film sui binari migliori, ristabilendo un coinvolgimento concreto e tangibile.

Tuttavia è anche innegabile che se il primo film riusciva a creare da zero degli ambienti filmici a partire dalle parole del libro, trovando in scene come quella della scelta dei tributi idee visive fortissime (la scelta di focali lunghe e macchina a mano in un'ambiente privo di colori è forse quella più determinante di tutta la saga nell'impostare un mood), questo secondo qualcosa ricalca, ma più in generale sceglie un tono invisibile e monocorde che stempera un po' le componenti più forti della storia.
Mentre Gary Ross era riuscito a rendere tutta la lunga scena del "gioco" come una grande metafora del liceo, per la quale i più deboli sono o uccisi o sfruttati dai più popolari, in cui la forza fisica e la violenza reale sostituiscono la violenza psicologica del bullismo o delle pressioni del confronto con i propri pari, Francis Lawrence mette in scena con rigore il libro, non inventando nulla.

Anche la maniera sottile in cui Ross riusciva a rende l'idea di come una classe sociale agiata e vecchia costringa con la forza e con la pressione dei loro occhi un gruppo di ragazzi ad uccidersi a vicenda, obbligandoli al massacro, suggerendo implicitamente che tutto ciò forse non è troppo lontano dal mondo che viviamo in cui la classe dirigente tarpa e vessa i più giovani, costretti ad una folle competizione tra di loro, si perde a favore di un rigore forse eccessivo ad una trama che, se non altro, in questo secondo capitolo è più vivace che nel primo.
Molto della struttura ricalca volutamente la storia precedente (le fasi sono le medesime) e ribadisce la centralità, inedita per il cinema di fantascienza, che l'abbigliamento e il trucco hanno nel mandare avanti la trama e cambiare gli eventi (segno di chi sia il pubblico d'elezione di una serie che l'abilità di arrivare comunque a tutti) ma proprio per questo i molti colpi di scena sorprendono sul serio e portano valore. Sembra insomma che il film sia salvato dalla storia che adatta, più forte di qualsiasi trattamento moscio, riuscendo a portare a casa un dignitosissimo seguito di un film sorprendente, chiuso con un primissimo piano di Jennifer Lawrence che, seriamente, vale il prezzo del biglietto. Anche qui una mossa molto banale, il passaggio da un'espressione ad un'altra, resa con una potenza penetrante che nessun giovane attore di Hollywood ha.

Continua a leggere su BadTaste