Hunger Games: Il Canto della Rivolta - Parte I, la recensione

Il terzo film di Hunger Games svela la vera natura della saga e ne conferma la raffinatezza, l'unica con una protagonista che è anche un'attrice

Critico e giornalista cinematografico


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Se Hunger Games è probabilmente il più complesso e raffinato tra i blockbuster contemporanei (inclusi i film di supereroi) lo deve principalmente a due elementi: la scrittura di Suzanne Collins, che di capitolo in capitolo contrabbanda sotto la patina avventurosa molto più di quello che non si creda, e la recitazione di Jennifer Lawrence.

Mark Hamill, Hayden Christensen, Shailene Woodley, Logan Lerman, Daniel Radcliffe, Kirsten Stewart, Robert Pattinson e tutta la schiera di protagonisti di film pensati per un pubblico immenso raramente sono stati anche attori nel senso pieno del termine, di certo mai un ruolo simile è spettato al migliore della propria generazione.

I romanzi sono raccontati attraverso il flusso di coscienza di Katniss, i film funzionano solo grazie alla capacità di Jennifer Lawrence di dire moltissimo senza parlare, di lasciar intuire i pensieri del proprio personaggio. Hunger Games - Il Canto della Rivolta - Parte I, contrariamente ai film precedenti, è dominato dall'incapacità di comprende cosa accada e questo passa unicamente attraverso lo smarrimento negli occhi di Katniss, un'espressione lieve che contamina tutte le altre di rabbia, serenità o dolore.

Grazie a scrittura e interpretazione la retorica più becera del blockbuster, fatta di scene sempre uguali, svolgimenti usuali e discorsi triti, quella che Gary Ross nel primo film sembrava osteggiare a colpi di originalità mentre lo scialbo Francis Lawrence ci impone senza ritegno come se non avesse aspirazioni, è spezzata di frequente da avvenimenti inusuali e un'empatia non comune. Gli eventi stupiscono per come non accarezzino mai le convinzioni degli spettatori mentre Jennifer Lawrence pare capace di dare senso anche alle battute più cretine e le scene più burine che deve interpretare.

Inoltre, quel che nei film precedenti era una sensazione qui diventa una certezza: Hunger Games mette in scena se stesso e la macchina del cinema (si era mai visto in un blockbuster?), racconta come si costruiscono i miti, ha tra i personaggi una troupe televisiva (geniale che sembrino un commando militare) e mette addirittura Katniss davanti ad una specie di green screen, la stessa cosa che ha fatto Jennifer Lawrence nell'interpretarla. Addirittura uno dei video di propaganda assomiglia al trailer del film e usa il simbolo della ghiandaia esattamente come ha fatto il marketing Universal. Eppure anche quando i meccanismi d'empatia del linguaggio audiovisivo vengono svelati (fiamme di sfondo, occhi lucidi e musica artificiale), lo stesso il piano del racconto continua a funzionare: Katniss è messa in condizione di realizzare video di propaganda ma sono così sentiti che anche conoscendone la funzione si rimane colpiti. The Hunger Games non semplifica la questione, non mette il pubblico in condizione di comprendere facilmente la falsità della propaganda ma la usa per avvincerlo mentre la spiega.

Divisi dalla guerra annunciata dal finale del film precedente, Katniss e Peeta sono ugualmente armi di convinzione di massa anche se per fazioni diverse, come sempre noi seguiamo solo la protagonista femminile (brevemente ritornano anche i vestiti come arma di comunicazione, un classico dei precedenti capitoli) ma nello smunto Peeta e nelle sue interviste fasulle c'è forse il più convincente atto di svelamento della macchina dello show business visto negli ultimi anni. Lo stesso nonostante il pubblico lo desideri la protagonista continua ad essere riluttante a prendere parte a quella che si presenta come la più indispensabile delle rivoluzioni.

Nella costante rabbia di Katniss (si era mai visto una protagonista così in un blockbuster? Una ragazza i cui sentimenti hanno tutti origine in un inestinguibile livore? Una la cui parola d'ordine è aggredire chi non le concede quello che le spetta?) c'è l'ingrediente segreto di questa serie, l'unica a raccontare una ribellione a tutti i livelli. Non quella tanto scontata quanto stucchevole e arbitraria dei buoni contro i cattivi (fazioni decise a priori dagli autori) ma quella contro ogni forma di condizionamento da parte di un'adolescente contro il resto del mondo.

Hunger Games è una serie che si rivela sempre più intelligente e raffinata di capitolo in capitolo proprio perchè gli altri film e storie che parlano di ribellione indicano contro chi ribellarsi, stimolano ad un pensiero divergente ma nella maniera in cui dicono loro, esattamente come a Katniss è imposto dall'alto un bersaglio contro cui prendersela, un partito a cui aderire, una causa da sposare pretendendo che siano le uniche possibili.

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