Hunger, la recensione
La storia di Hunger è quella che ci si può aspettare, ma tutto il suo contesto e il suo desiderio di dire altro con le immagini no
La recensione di Hunger, il film di cucina tailandese che è disponibile dall'8 aprile su Netflix
L’inizio riprende in toto Whiplash, non solo per gli assoli di batteria di sottofondo a creare tensione e non solo per la dinamica di lode, innalzamento e poi umiliazione davanti a tutti, ma anche per l’equivalenza tra la dedizione, la sofferenza e il miglioramento di un talento. Poi però la storia di questa ragazza che impara in fretta (pure troppo) la cucina stellata, diventa una parabola sulla società tailandese e sulle differenze sociali. Senza aver ancora guadagnato un soldo la sola conoscenza e ampliamento degli orizzonti crea una frattura tra la protagonista di Hunger e il mondo da cui viene. Non è più come la sua famiglia e i suoi amici perché ha visto di meglio, ha visto cosa consentono le aspirazioni se le si segue e adesso non riesce a fare finta di nulla. Poi però il film mostra anche un altro tipo di differenza sociale.
Ci saranno gli allontanamenti e le riconciliazioni che ci devono essere, l’ascesa, il successo, i problemi e poi i grandi scontri con quelli che una volta erano mentori. Tutto secondo le solite regole. Sitisiri Mongkolsiri sembra conoscere così bene il cinema di riferimento da sapere anche che tutto ciò che conta sta negli anfratti, in come sono risolte le singole scene e nelle scelte visive. Non nell’intreccio. Immaginare il fatto che i ricchi non mangiano per fame ma per affermare uno status e che quindi non si cibano effettivamente delle pietanze ma mangiano quegli chef, il loro status e il loro allure, è fantastico. Renderlo per immagini è roba da vero cineasta. Poi un finale sullo sguardo della protagonista, così intenso e dedicato anche in uno scenario diverso, richiama il finale dei film horror in cui la minaccia sconfitta in realtà non muore mai, è sempre lì. Una volta assaggiato il mondo dell’eccellenza e la possibilità di fare di meglio, scalare, ambire e riuscire, non se ne può più fare a meno.