How To Have Sex, la recensione

Non la storia ma il piglio elettrico e la scelta dei personaggi rendono How To Have Sex un film in cui ci si immerge subito

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di How To Have Sex, il film vincitore di Un Certain Regard, in sala dal 1° febbraio

Che fenomenali vibrazioni da prime vacanze in autonomia! Fin dalla primissima scena How To Have Sex è capace di acchiappare lo spettatore con la sua elettricità: macchina a mano, montaggio brutale, alto contrasto ma soprattutto un’organizzazione delle attrici nelle scene e una recitazione di grande presa. Tre ragazze arrivano a Creta per una vacanza dopo la scuola, una delle loro primissime, si intuisce, cariche di aspettative ed eccitazione per un divertimento che sembra obbligatorio che debba arrivare a tutti i costi. Una di loro in particolare è ancora vergine ed è intenzionata a non esserlo più al ritorno.

Molly Manning Walker prima di essere sceneggiatrice e regista di questo suo esordio ha una carriera da direttrice della fotografia (ma in questo film non la cura lei) che le consente di impostare il look e soprattutto di avere ben chiaro lo staging di ogni scena, anche il più caotico. E proprio questa grande capacità di dirigere un gruppo di persone, quasi sempre tutte inquadrate, senza che si perdano le loro personalità ma anzi avendo in ogni momento ben chiaro, la specificità di ognuna, già nei primi 20 minuti, cattura. Anche nei dialoghi più confusi c’è un ordine preciso, fatto di stacchi e espressioni calibrate per guidare l’interpretazione e non perdere lo spettatore in quello che è un caos ordinatissimo. La vicinanza ai personaggi e al loro inevitabile andare a sbattere contro i muri stimola così una partecipazione tra il confortevole e l’emotivo.

A lungo nel film quello che conta di più è l’impressione di elettrica eccitazione per una vacanza a bassissimo costo e alta gradazione alcolica, nella versione economica di uno dei mille vacanzifici estivi europei. Vita notturna, rimorchio pigro dei ragazzi dell’appartamento accanto e intrighi da adolescenti. L’obiettivo è il sesso che tutti fanno meno Tara, vera protagonista del trio, e che lei per sfortuna, atteggiamento e gusti stenta a fare. How To Have Sex, prima di un finale più serioso, meno interessato alle persone e più a dire qualcosa di alto (che non rende giustizia al resto del film e lo chiude con più semplicità di quel che ci si poteva immaginare), ha però l’intuizione di non mettere mai in scena il desiderio sessuale. Si parla di sesso, si cerca di fare sesso ma non c’è mai attrazione. L’unico desiderio che si percepisce in queste ragazze è quello di essere qualcosa, di conquistare un’identità tramite quel sesso. E questo dà a ogni dinamica una personalità unica che nutre la voglia di saperne di più.

Come sempre nei film scritti e diretti da donne si scopre che non c’è nulla di più idiota e insensibile di un uomo, ma a differenza del solito non lo facciamo con i consueti avatar da cinema d’autore, ma attraverso tipologie umane che il cinema frequenta pochissimo e mai in film che non abbiano intenti sociali. Queste sono ragazze con sopracciglia disegnate, unghie lunghissime e abiti allucinanti su fisici che non potrebbero permetterseli, che rimorchiano ragazzi con il borsello e alcuni tra i tatuaggi più ridicoli visti al cinema (almeno in film che non sono commedie). È un’umanità molto sopra le righe e al tempo stesso estremamente realistica e riconoscibile, che porta con disinvoltura un cattivo gusto ostentato che attinge al pozzo senza fondo di quello reale, e lavora in maniere misteriose a definire le loro personalità.

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