How To Have Sex, la recensione
Non la storia ma il piglio elettrico e la scelta dei personaggi rendono How To Have Sex un film in cui ci si immerge subito
La recensione di How To Have Sex, il film vincitore di Un Certain Regard, in sala dal 1° febbraio
Molly Manning Walker prima di essere sceneggiatrice e regista di questo suo esordio ha una carriera da direttrice della fotografia (ma in questo film non la cura lei) che le consente di impostare il look e soprattutto di avere ben chiaro lo staging di ogni scena, anche il più caotico. E proprio questa grande capacità di dirigere un gruppo di persone, quasi sempre tutte inquadrate, senza che si perdano le loro personalità ma anzi avendo in ogni momento ben chiaro, la specificità di ognuna, già nei primi 20 minuti, cattura. Anche nei dialoghi più confusi c’è un ordine preciso, fatto di stacchi e espressioni calibrate per guidare l’interpretazione e non perdere lo spettatore in quello che è un caos ordinatissimo. La vicinanza ai personaggi e al loro inevitabile andare a sbattere contro i muri stimola così una partecipazione tra il confortevole e l’emotivo.
Come sempre nei film scritti e diretti da donne si scopre che non c’è nulla di più idiota e insensibile di un uomo, ma a differenza del solito non lo facciamo con i consueti avatar da cinema d’autore, ma attraverso tipologie umane che il cinema frequenta pochissimo e mai in film che non abbiano intenti sociali. Queste sono ragazze con sopracciglia disegnate, unghie lunghissime e abiti allucinanti su fisici che non potrebbero permetterseli, che rimorchiano ragazzi con il borsello e alcuni tra i tatuaggi più ridicoli visti al cinema (almeno in film che non sono commedie). È un’umanità molto sopra le righe e al tempo stesso estremamente realistica e riconoscibile, che porta con disinvoltura un cattivo gusto ostentato che attinge al pozzo senza fondo di quello reale, e lavora in maniere misteriose a definire le loro personalità.