House of the Dragon 2x06, “Popolo”: la recensione
House of the Dragon ci consegna un altro episodio di transizione, riempitivo e con sequenze che non brillano per dialoghi e messa in scena.
La nostra recensione del sesto episodio di House of the Dragon, dal titolo “Popolo”, disponibile da oggi in esclusiva su Sky e in streaming su NOW.
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Neri e Verdi, due Concili a confronto
“Le piogge di Castamere”, l’iconico tema dei Lannister, è ciò che sentiamo risuonare all’inizio di questo sesto episodio, quando vediamo Jason Lannister, gemello di ser Tyland, arrivare presso il Dente Dorato e richiedere la presenza di Aemond per la marcia su Harrenhal. Un affronto secondo il principe Reggente, che presiede col pugno di ferro l’ennesima scena del Concilio Verde. Segue poi da una scena del Concilio Nero, dove Rhaenyra, spalleggiata dal figlio e dal suo appena nominato Primo Cavaliere, propone la sua nuova strategia per la ricerca di cavalieri di draghi. Un confronto, quello tra i due Concili, diventato un tratto distintivo della serie, un espediente narrativo che vediamo ad ogni episodio e che permette di portare avanti la pianificazione della guerra e delle tattiche successive.
Due consiglieri a nudo
Un altro parallelismo dell’episodio è quello che si viene a creare tra lord Larys Strong e lady Mysaria. Nel suo confronto con re Aegon (Tom Glynn-Carney continua a regalare grandi performance anche se semicosciente) scopriamo qualcosa in più sul passato sofferto del Maestro dei Sussurri, così come nel confronto con Rhaenyra scopriamo ciò che si cela dietro le cicatrici di Mysaria. Entrambi consiglieri inizialmente malfidati, bistrattati e guardati con sospetto, entrambi ci rivelano di aver avuto un'infanzia tutt'altro che facile, l'uno a causa della propria deformità, l'altra per colpa della malvagità paterna.
Larys e Mysaria sono due figure parallele che compiono entrambe questa offerta di intimità e di condivisione, per quanto reale ed autentica, in modo da potersi avvicinare a chi detiene il potere: in Aegon Larys trova finalmente un uomo nel quale potersi rivedere (dopo essere stato umiliato da Aemond, colui che forse più di tutti avrebbe potuto capirlo), mentre in Rhaenyra Mysaria ritrova una ragione di lealtà e anche qualcosa in più. Il bacio tra le due è forse leggermente telefonato, ma di sicuro apre la strada ad un risvolto interessante anche per il personaggio di Rhaenyra, per la sua sessualità e per il suo rapporto con Daemon.
Daemon in trappola
Effettivamente l’unico che mancava all’appello tra coloro che Daemon avrebbe dovuto vedere nel suo viaggio onirico tra passato e presente era il compianto re Viserys. Nessuno avrebbe tormentato Daemon più del suo amato ed odiato fratello, ed il ritorno di Paddy Considine non fa che ricordarci quanto la sua assenza si avverta in questa stagione. Se vederlo mentre rimprovera il fratello o mentre si dispera per la morte della moglie Aemma non delude per la performance ma unicamente perché non aggiunge nulla a quanto già visto nella prima stagione, a deludere davvero è invece la storyline di Daemon, o perlomeno la sua ripetizione. Nonostante il potenziale narrativo di un Daemon vessato dalle visioni, insicuro e fragile sia altissimo, dopo quattro episodi in cui lo vediamo fermo nello stesso ambiente e bloccato nello stesso stato di sonno/veglia, quella stessa attrattiva viene purtroppo depotenziata.
Come Daemon anche noi spettatori ci sentiamo un po’ in trappola di queste visioni, dal momento che ci privano delle interazioni che un attore, un forse sprecato Matt Smith, potrebbe avere con altri personaggi. Basandosi quasi esclusivamente sulla guerra tra due fazioni, House of the Dragon ha di conseguenza una narrazione meno variegata e con meno personaggi rispetto a Game of Thrones (sebbene anche nella serie madre ci fossero momenti stantii per così dire): se quindi all’equazione si sottrae un elemento fondamentale, come potrebbe essere il carisma di uno dei suoi attori migliori, la formula vincente può perdere la sua efficacia.
La frustrazione di Alicent e Rhaneyra
Per Alicent e Rhaenyra si tratta di un altro episodio all’insegna dell’immobilismo forzato, del dubbio e del rimorso. Estromessa dal Concilio dal suo stesso figlio e tormentata dagli errori commessi come madre, di Alicent avvertiamo ancora una volta il montare della rabbia come un ronzio sordo e di sottofondo, un effetto sonoro che efficacemente ci restituisce la sua condizione emotiva repressa. Di Rhaenyra invece udiamo lo schiocco di uno schiaffo, finalmente lo sfogo di una donna che dubita di se stessa, sempre più sola e in trappola nella propria fortezza.
La presa di posizione della serie sulla condizione femminile è da sempre chiara, talvolta in forme anche didascaliche: come in questo episodio, dove il ripetersi di temi e situazioni più che ribadire un concetto potrebbero rischiare di renderlo retorico. Per quanto però alcune scene con protagoniste Alicent e Rhaenyra possano sembrare ripetitive, in realtà sono funzionali a farci percepire il loro stato d’animo, dove la loro frustrazione come personaggi diventa infatti la nostra frustrazione come spettatori.
Un popolo (poco) arrabbiato
Il secondo episodio aveva al suo centro la processione delle regine Alicent e Helaena, adorate e acclamate con empatia e cordoglio dal popolo, mentre in questo episodio abbiamo l'esatto contrario: il popolo è ora fuori controllo, affamato e istigato dalla strategia messa in atto da Mysaria, e vede nelle due sovrane l'oggetto del proprio odio. Il seme della rivolta è stato piantato fin dal primo episodio, quando re Aegon incitava i propri consiglieri ad avere più cura del popolo, ed esplode qui con una scena che, per quanto coerente con la storia, non restituisce l'impatto sperato.
In passato Game of Thrones ci ha mostrato alcune scene di insurrezione popolare, in alcuni casi perfino sanguinarie (in una addirittura il popolo affamato di Approdo del Re divorava un corpulento Alto Septon davanti agli occhi esterrefatti di Tyrion). In questo sesto episodio abbiamo invece un momento di rivolta ben coreografato e strutturato e forse proprio per questo quasi troppo inscenato: c'è poca confusione, poco realismo, e soprattutto manca quasi totalmente la suspense e la reale sensazione di pericolo per i personaggi coinvolti. La rabbia del popolo è per così dire poco rabbiosa, ma al contrario messa in scena, fittizia e poco coinvolgente.
Vecchi draghi, nuovi cavalieri
«I draghi però non sono cavalli. Non accettano facilmente di avere qualcuno sul dorso; inoltre se irritati o minacciati, i draghi attaccano. […] Steffon Darklyn venne bruciato a morte mentre tentava di cavalcare il drago Mare Infuocato. […] Il drago invece, un tempo cavalcatura di Laenor Velaryon, accettò sul dorso un ragazzo chiamato Addam di Città delle Chiglie, le cui origini rimangono oggetto di contenzioso fra gli storiografi addirittura ai giorni nostri.» (Fuoco e Sangue – Edizione Illustrata, p. 423)
Origini, quelle di Addam e di suo fratello Alyn, che non sono più così tanto sconosciute. Introdotti lentamente in questa seconda stagione, il sesto è l’episodio del riscatto per i due fratelli, eredi di una delle famiglie più antiche di Valyria. Se per Alyn è il momento di mettersi alla prova come primo uomo al comando della flotta dei Velaryon, è per Addam che arrivano le maggiori sorprese.
Non bastano infatti canzoni in una lingua antica a convincere un drago a farsi cavalcare: più che essere scelto è infatti Mare Infuocato a scegliere il suo nuovo cavaliere, e con questa scena la serie (rispetto ai dubbi presenti nei libri) rende chiaro che a contare davvero è l'atteggiamento con cui ci si pone davanti ad un drago, ma anche e forse soprattutto il sangue, quello di Valyria. Chiamata nel libro “la Semina Rossa” a causa dei trionfi e delle tragedie che la caratterizzano, la caccia ai nuovi cavalieri di drago è lo snodo di trama di maggiore interesse di questi restanti tre episodi, e gli autori hanno sapientemente “seminato” abbastanza indizi sui vari candidati possibili, che siano essi legittimi o illegittimi. Staremo a vedere chi sarà il fortunato (o sfortunato) a montare un drago la settimana prossima.
Un episodio di transizione (di nuovo)
Se con lo scorso episodio ci si poteva aspettare una battuta d’arresto e un momento di riflessione post-battaglia, con “Popolo” abbiamo però per la seconda settimana di fila un episodio “intermedio”, fatto di molte conversazioni intime e significative tra i personaggi, ma spesso sottotono nella scrittura, ripetitivo nei temi e con sequenze non particolarmente brillanti per dialoghi e messa in scena, che diversamente avrebbero bilanciato la mancanza di azione. Non si può sperare in battaglie tra draghi ad ogni episodio (sarebbe impensabile anche per un discorso di budget oltre che narrativo), ma storicamente il franchise di Game of Thrones è sempre stato caratterizzato da una sapiente alternanza tra le sue due anime portanti, tra l’azione e l’intrigo politico, tra gli eventi spettacolari e l’approfondimento dei personaggi, tra i colpi di scena e l’avanzamento della trama.
In questo sesto episodio la trama non manca di certo (seppure a tratti riempitiva), ma a venire meno è una certa coesione tra le varie sequenze, con un montaggio confuso che mina il ritmo interno dell’episodio. Avrebbe forse aiutato un minutaggio inferiore? Di certo a questo punto la prospettiva di una stagione più breve non sembra più tanto campata in aria. Restano comunque delle grandi interpretazioni dell'intero cast, sufficienti nuovi intrighi e la presenza dei draghi a smuovere la situazione di stallo in cui si trova la storia in vista degli ultimi due episodi finali.
Vi ricordiamo che House of the Dragon è disponibile in esclusiva su Sky e in streaming solo su Now. E voi che ne pensate? Commentate se avete un abbonamento a BadTaste+!
Potete trovare tutte le informazioni e le curiosità sulla serie nella nostra scheda.
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