House of Cards (quinta stagione): la recensione
House of Cards continua a raccontare la spietata ricerca del potere, nella quinta stagione della serie con Kevin Spacey e Robin Wright
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La storia in realtà è più semplice e schematica degli anni passati. Mentre ci si avvicina al voto presidenziale che vede contrapposti Frank Underwood e William Conway, il primo si trova sotto scacco dopo le denunce di Hammerschmidt. Per dirottare l'attenzione pubblica ed evitare lo scandalo, Frank sfrutta la recente uccisione di James Miller sul suolo americano per chiamare a raccolta il Paese in una crociata contro l'ICO. Claire, candidata vicepresidente, continua ad essere la stampella morale di Frank, il primus inter pares tra i sottoposti del presidente. Oggi come in passato, la tendenza di Frank a dare per scontati i propri collaboratori, compresa la moglie, mentre è occupato a battere i nemici, può rivelarsi il suo punto debole.
Ogni personaggio, ogni evento, ogni conflitto, ogni tematica che non si adegua a questo schema semplicemente ricade in una generica piattezza dalla quale emerge solo come strumento narrativo. Il conflitto siriano, il terrorismo, le elezioni, l'escalation con la Russia, gli omicidi e i tradimenti palesi, nulla sfugge a questa idea. Questo può essere un problema nel momento in cui ci confrontiamo con uno show che ha superato le sessanta puntate e deve continuare a tenere alta la soglia del conflitto, in continuo confronto con se stesso. La metafora del castello di carte a questo punto è più che abusata, ma rimane valida. Se nulla è importante per Frank, difficilmente lo sarà per noi.
La scrittura impone la vittoria, perché come abbiamo detto Frank Underwood semplicemente non esiste al di fuori di una situazione di conflitto perenne. Ma questa situazione di tensione costante obbliga la serie a bruciare più in fretta: costanti pressioni, costanti sfide, necessità di mettere in difficoltà i protagonisti. Tutto deve sempre essere vissuto al massimo, bisogna osare, alzare l'asticella, ma al tempo stesso mantenere punti fermi e una vaga (davvero vaga) idea di verosimiglianza. A quel punto tutto può essere prevedibile come andamento, e come al solito molto irreale, ma almeno nella gestione del voto presidenziale la scrittura è riuscita a venirne fuori bene.
Cardine di ogni cosa rimane Claire. La quarta stagione si chiudeva spalancando le porte della quarta parete anche al suo sguardo, ed è da quello che ripartiremo qui. La scrittura corteggia il personaggio per tutte le tredici puntate, preparando il terreno ad un cliffhanger non potente quanto quello dello scorso anno, ma interessante. Se Frank è il grado zero della malvagità, Claire in questa stagione fa un passo avanti. Guarda in camera, è più misurata in pubblico e più spietata nel privato. Non sappiamo quanto andrà ancora avanti la serie e quanto il gioco riuscirà a funzionare, ma questo è sicuramente un momento importante. Frank verrà sconfitto una volta sola, e quel momento segnerà la fine di House of Cards.