Hostages: la recensione
Interpretazioni sottotono, dialoghi artificiosi e un plot troppo inverosimile: Hostages è uno dei peggiori debutti della stagione
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Riadattato per il mercato americano a partire da un format per una serie israeliana mai realizzata, Hostages inizia mettendo sotto i riflettori la dottoressa Ellen Sanders, che per motivazioni non completamente dovute alla sua competenza, ma più a logiche politiche, si ritrova a dover operare nientemeno che il Presidente degli Stati Uniti. La faccenda si complica quando, insieme alla propria famiglia, viene presa in ostaggio da un gruppo di uomini il cui leader, o presunto tale, le intima di uccidere il Presidente durante l'operazione. I problemi nella scrittura, nelle interpretazioni e nella tecnica di Hostages sono veramente tanti e, cosa ancora più sgradevole a dirsi, soltanto il loro continuo accumularsi nel corso della puntata ci permette di distrarci e di arrivare alla fine senza accusare troppo la durata (anche se arrivati ad un certo punto uno certo stacco potrebbe farci credere di essere giunti alla fine).
In tutto questo i dialoghi sono molto artificiosi e la regia è didascalica: inquadrature insistite che sbattono in faccia situazioni, stratagemmi, emozioni (o tentativi di trasmetterle nel caso di qualcuno), senza filtro e senza spazio per sorprese o tensioni. A produrre il tutto Jerry Bruckheimer, che dopo gli ultimi tonfi al box-office e il distacco dalla Disney continua a non vedere la luce in fondo al tunnel.