Hors-saison, la recensione | Festival di Venezia

Hors-saison è una classica storia di amanti ritrovati ma che più profondamente racconta la sottile e struggente differenza tra lo stare bene e l’essere felici e la difficoltà di prendersi pienamente le responsabilità delle proprie scelte.

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La recensione di Hors-saison, presentato in Concorso al Festival di Venezia 2023

Dopo aver finemente raccontato nella trilogia del mondo del lavoro la pressione opprimente delle multinazionali sulla vita dell’individuo, Stéphane Brizé con Hors-saison volge ancora il suo interesse per la fragilità emotiva leggendola stavolta in chiave puramente sentimentale: Hors-saison è infatti una classica storia di amanti ritrovati ma che più profondamente, con tenerezza e grandissima sensibilità, racconta il difficile processo dei suoi protagonisti verso una maturità sentimentale, la sottile e struggente differenza tra lo stare bene e l’essere felici e la difficoltà di prendersi pienamente le responsabilità delle proprie scelte.

Il protagonista è Laurent (Guillaume Canet), un attore di cinema in profonda crisi esistenziale e lavorativa che a quattro settimane dalla prima ha abbandonato la produzione del suo primo spettacolo teatrale. Per tentare di risanare la sua angoscia, Laurent si reca quindi in un lussuoso hotel-spa sulla costa francese: un luogo altrettanto malinconico, di evidente inutilità terapeutica ma che si rivelerà fatale quando proprio in quella località Laurent ritroverà Alice (Alba Rohrwacher), un grande amore passato a cui non ha mai saputo chiedere scusa.

Brizé è bravissimo a raccontare il disagio di Laurent, e lo fa inizialmente attraverso un’ironia che legge la persona in contrasto con l’ambiente. Totalmente alienato rispetto ai comfort tecnologici che lo circondano (con un’ironia del misuso simile a quella di Jacques Tati in Playtime), Laurent sprofonda in questo hotel-nave che affaccia su un mare grigio e uggioso, fa sedute di sport mistico e cerca invano di distrarsi dalla vita che lo aspetta a casa. Dall’incontro con Alice, il film abbandona quasi totalmente questa ironia - che torna solo in due momenti al ristorante, di cui uno brillante - e si concentra invece nell’andare sempre più a fondo nella vita di Alice, la sua profonda malinconia, la sua insoddisfazione per una vita che sembra giusta, soddisfacente, e che invece cominciamo a vedere come profondamente infelice perché insapore, priva di grandi sentimenti.

Da quel momento il film diventa totalmente serio nel modo in cui guarda i personaggi, ma riesce parimenti a fare una cosa difficilissima: raccontare con una sintesi e una chiarezza estrema (senza parole, semplicemente per come mostra Laurent e Alice, da soli e insieme) la tristezza che porta il rimuginare sul passato, il rivangare con ingenuità quei “se” che, portati alla luce nel presente, sembrano meravigliosi solamente perché idealizzati. Ecco allora che il film diventa una meravigliosa riflessione sulla fatica e la maturità che richiede l’essere realisti, l’essere emotivamente onesti con sé stessi e con l’altro.

La storia di Laurent e Alice è una storia commovente perché racconta benissimo quanto sia difficile, ma necessario per sopravvivere, accettare che niente è per sempre. Se si insiste, si rischia di rovinare tutto. È una consapevolezza che fa paura, e che Hors-saison affronta senza l’insistenza di un sentimentalismo spinto, ma con una delicatezza rara.

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