Hoops (prima stagione): la recensione

Hanno chiamato gli anni Novanta e rivogliono indietro le parolacce

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La parola più utilizzata nel corso delle dieci puntate di Hoops è “fuck” in tutte le sue possibili varianti (con una certa predilizione per “fucking”). La seconda parola più utilizzata in Hoops è “dick”, o il suo plurale “dicks” (questa distinzione è alla base di una delle gag più ricorrenti dell’intera prima stagione. Seguono in questa speciale classifica dedicata a uno dei peggiori originali Netflix degli ultimi anni: “shit”, “boobs”, “vagina”, “prostitute”. Intorno al ventisettesimo posto si trova “basketball”, che sarebbe poi l’argomento principale della serie.

Hanno chiamato gli anni Novanta e rivogliono indietro le loro parolacce

Hoops è un inspiegabile “cartone animato per adulti” dallo stile visivo appiattito su quello di molti originali Netflix (Big Mouth è il primo che viene in mente) e il cui approccio alla risata si colloca in quella zona d’ombra che sta tra la coazione a ripetere (soprattutto le parolacce) di Beavis&Butthead e all’umorismo, scusateci per le virgolette, “scorretto” di South Park (dove le virgolette sono riferite ovviamente a Hoops, non al capolavoro di Parker e Stone). Inspiegabile perché completamente fuori dal tempo: da quanto non vi capitava di trovarvi davanti a una serie che prova a riempire gli imbarazzanti silenzi che seguono alle sue battute cascate nel vuoto con urla e parolacce?

Come in quell’altro originale Netflix che non citeremo per rispetto, il protagonista di Hoops, Coach Ben, è una pessima persona, con grossi problemi di gestione della rabbia, un’ex moglie (Shannon) che lo odia ed esce con il suo migliore amico e vice-coach Ron, e un team di adolescenti che rappresentano ciascuno un diverso stereotipo di quello che non vorresti nella tua squadra di basket: quello sovrappeso, quello antipatico, quello scarso, tutti tra l’altro alti sotto il metro e settanta e quindi già fisicamente poco portati allo sport. Li incontriamo all’inizio della nuova stagione, quando il coach riesce finalmente a convincere lo spilungone della scuola, Matty, a unirsi alla squadra.

Sesso e droga senza il rock and roll

Non è il setup più originale del mondo; purtroppo il creatore, il comico e cantante country Ben Hoffman, non fa nulla per elevarlo e provare almeno a dargli una personalità. Al contrario: ha scritto una serie che parla in teoria di dinamiche interpersonali nella quale gran parte di queste dinamiche non hanno alcun senso e vengono plasmate a seconda dell’occasione per far procedere la trama; il risultato è l’impossibilità di affezionarsi a personaggi che cambiano personalità da una sequenza all’altra e che finiscono per essere caratterizzati esclusivamente dai loro difetti o dalle loro assurdità, risultando monodimensionali e prevedibili.

Tutto questo potrebbe anche andare bene in una serie alla prima stagione, che deve ancora autodefinirsi e ha tempo davanti a sé per limare le asperità. Il problema è che anche scavando sotto i difetti e le incongruenze quello che rimane è un pugno di mosche: quando va bene Hoops strappa uno o due sorrisi a puntata, quando va benissimo persino una risata, ma per il 90% del tempo è uno spettacolo pietoso, una serie che crede che il massimo della sua comicità siano situazioni tipo “pagare una prostituta per far sesso con un liceale” o “incastrare il professore di etica e sbatterlo in galera per rapimento di minori”, dove ovviamente i minorenni in questione sono i membri della squadra del coach, che in quanto persona abietta e senza possibilità di redenzione non si ferma di fronte a nulla, neanche alle più basilari norme di umanità, pur di ottenere il risultato che cerca.

Non si spiegano le battute

Dovrebbe essere questo il segreto dell’umorismo di Hoops, la storia di un tizio socialmente impresentabile che fa tante cose buffe e scorrette e la passa liscia perché quando viene beccato comincia a urlare tante parolacce. Indovinate un po’? Non funziona, forse l’abbiamo già detto. E come sempre quando si parla di comicità non è facile spiegare esattamente perché non funzioni, né è da escludere che ci sia chi trova divertente questo approccio all’umorismo. Considerate questo, però: moltissime delle gag che punteggiano la prima stagione non si fermano al momento della punchline, ma sentono la necessità di mettere in bocca a qualcuno dei protagonisti la spiegazione esplicita di quello che è appena successo e dunque della battuta. Se non è questo un segnale di insicurezza...

Per prudenza lo ribadiamo di nuovo: la comicità, come anche l’horror, è un genere estremamente personale, ed è impossibile quantificare una risata o uno spavento e produrre una valutazione oggettiva – per cui è possibilissimo che ci sia anche chi trova divertente l’idea di vedere un tizio che dice “fucking shit” ogni tre parole e parla di malattie veneree e cunnilingus di fronte ai minorenni. Se fate parte di questa categoria lasciateci solo dire una cosa: potete trovare le stesse cose altrove, e fatte meglio, per cui fidatevi quando vi diciamo che non avete alcun bisogno di Hoops.

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