Hoops (prima stagione): la recensione
Hanno chiamato gli anni Novanta e rivogliono indietro le parolacce
Hanno chiamato gli anni Novanta e rivogliono indietro le loro parolacce
Hoops è un inspiegabile “cartone animato per adulti” dallo stile visivo appiattito su quello di molti originali Netflix (Big Mouth è il primo che viene in mente) e il cui approccio alla risata si colloca in quella zona d’ombra che sta tra la coazione a ripetere (soprattutto le parolacce) di Beavis&Butthead e all’umorismo, scusateci per le virgolette, “scorretto” di South Park (dove le virgolette sono riferite ovviamente a Hoops, non al capolavoro di Parker e Stone). Inspiegabile perché completamente fuori dal tempo: da quanto non vi capitava di trovarvi davanti a una serie che prova a riempire gli imbarazzanti silenzi che seguono alle sue battute cascate nel vuoto con urla e parolacce?
Sesso e droga senza il rock and roll
Non è il setup più originale del mondo; purtroppo il creatore, il comico e cantante country Ben Hoffman, non fa nulla per elevarlo e provare almeno a dargli una personalità. Al contrario: ha scritto una serie che parla in teoria di dinamiche interpersonali nella quale gran parte di queste dinamiche non hanno alcun senso e vengono plasmate a seconda dell’occasione per far procedere la trama; il risultato è l’impossibilità di affezionarsi a personaggi che cambiano personalità da una sequenza all’altra e che finiscono per essere caratterizzati esclusivamente dai loro difetti o dalle loro assurdità, risultando monodimensionali e prevedibili.
Non si spiegano le battute
Dovrebbe essere questo il segreto dell’umorismo di Hoops, la storia di un tizio socialmente impresentabile che fa tante cose buffe e scorrette e la passa liscia perché quando viene beccato comincia a urlare tante parolacce. Indovinate un po’? Non funziona, forse l’abbiamo già detto. E come sempre quando si parla di comicità non è facile spiegare esattamente perché non funzioni, né è da escludere che ci sia chi trova divertente questo approccio all’umorismo. Considerate questo, però: moltissime delle gag che punteggiano la prima stagione non si fermano al momento della punchline, ma sentono la necessità di mettere in bocca a qualcuno dei protagonisti la spiegazione esplicita di quello che è appena successo e dunque della battuta. Se non è questo un segnale di insicurezza...
Per prudenza lo ribadiamo di nuovo: la comicità, come anche l’horror, è un genere estremamente personale, ed è impossibile quantificare una risata o uno spavento e produrre una valutazione oggettiva – per cui è possibilissimo che ci sia anche chi trova divertente l’idea di vedere un tizio che dice “fucking shit” ogni tre parole e parla di malattie veneree e cunnilingus di fronte ai minorenni. Se fate parte di questa categoria lasciateci solo dire una cosa: potete trovare le stesse cose altrove, e fatte meglio, per cui fidatevi quando vi diciamo che non avete alcun bisogno di Hoops.