Homeland 7x05 "Active Measures": la recensione
La recensione del quinto episodio della settima stagione di Homeland
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Come sempre Homeland non si fa sfuggire l'occasione di gettare nel mucchio tutto ciò che può afferrare dall'attuale dibattito politico internazionale. Ghiotta occasione quindi per lanciare uno sguardo oltreoceano e coinvolgere una presunta azione russa dietro la diffusione delle fake news. Quindi ancora una volta la paura di un'azione straniera per manipolare l'agenda politica americana e destabilizzare le istituzioni. Saul, nonostante gli avvertimenti ricevuti, si intestardisce sull'argomento, ma per il momento non trova nulla. “A volte una crisi interna è solo una crisi interna”, gli dirà il suo informatore Ivan Krupin. E potrebbe essere questo il caso, anche perché, come il resto dell'episodio ci racconta, di problemi interni il paese è già pieno.
Sul versante delle indagini di Carrie tutto torna su binari più classici per lo show. Carrie recluta una squadra di persone fidate, tra le quali spicca senza dubbio un certo Anson, interpretato da James D'Arcy, in un ruolo molto più violento del solito. Di questa violenza farà le spese Simone Martin, la donna che sarebbe collegata a Wellington e quindi all'omicidio di McClendon. Seguiamo l'appostamento di Carrie e degli altri alla ricerca di prove, la loro operazione ben congegnata, che alterna momenti di speranza ad altri di illusione, almeno fino allo schiaffo finale. O che almeno ci viene così raccontato dallo show e dalla reazione di Carrie, che tanto sperava di aver messo le mani su un collegamento inoppugnabile. In realtà quella certezza viene meno, e tutto viene rimesso in gioco. “It's information warfare”.