Homeland 6×11 “R is for Romeo”: la recensione

Ottimo episodio per la sesta stagione di Homeland, in cui torna al centro del dibattito il tema della post-verità

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Spoiler Alert
Il dibattito in studio tra la Keane e O'Keefe è uno di quei momenti televisivi in grado di riscattare una stagione intera. Homeland, che già nella seconda parte dell'annata aveva tirato fuori gli artigli, non ne aveva necessariamente bisogno, ma siamo contenti che l'abbia fatto. Il dibattito tra equilibrio di potere, fact checking, manipolazione dell'opinione pubblica rimane il tema principale di uno show che è riuscito a rinnovare ancora una volta l'interesse degli spettatori, non senza errori o leggerezze, ma mai imboccando sentieri irreparabili. R is for Romeo, penultimo episodio della sesta stagione, avanza con una progressione inarrestabile, parte da momenti più intimi che corrono spediti verso una risoluzione finale che in realtà non risolve nulla. Il conflitto esplode in più modi, e tutto viene rimandato ad un attesissimo finale.

In prima linea, a confermare il ruolo quasi secondario di Carrie, si trova ancora una volta il presidente Keane. Da una prospettiva alta, quasi opposta a quella che ha occupato in certe occasioni la recente cronaca americana (ma ci fermiamo qui come considerazioni sull'attualità), la presidente è chiamata a reagire in occasione di una conferenza stampa a un'ondata di odio creato in laboratorio, frutto a sua volta di una manipolazione vergognosa. Nel momento in cui la memoria del figlio è in gioco, la Keane non ci sta più a tirarsi indietro e, spronata da Saul, decide di affrontare a viso aperto l'artefice.

Il momento è interessante perché sospeso come in una bolla rispetto al resto degli eventi. O meglio, ciò che accade è legato a doppio filo con la storia di Homeland, ma il fatto che a parlare siano due new entry e che tutto abbia un sapore così attuale rende il confronto qualcosa di diverso rispetto al resto dell'episodio. Soprattutto, anche se sappiamo che la Keane ha ragione, non sappiamo se la sua decisione è quella giusta. Nell'epoca della post-verità, l'impatto mediatico a breve termine di una notizia, la sua capacità di far presa sugli istinti più bassi di una folla urlante (il discorso dei bot rinforza la reazione, ma non ci sono solo risposte automatiche tra quegli insulti) è difficile da contrastare con la sola forza della ragione e delle argomentazioni. Nulla toglie al fatto che è sbagliato arrendersi al silenzio, ed è così che la Keane reagisce.

Non sappiamo quanto effettivamente pagherà il suo gesto, ma è certo che la sua credibilità, e quindi anche la sua autonomia decisionale, sono appese a un filo. Come appeso a un filo è il rapporto tra Quinn e Carrie. Li avevamo lasciati in un momento sospeso, tra rabbia e vendetta, la scorsa settimana, e quei sentimenti usciranno allo scoperto anche tra di loro, portando a galla parole che erano celate da molto tempo. Qui la prospettiva che conta di più è quella di Quinn, a quanto sembra. Carrie subisce più che altro le reazioni, pur scusandosi per quanto accaduto, ma è sui gesti liberatori di Quinn che vari momenti giocano, sia quando si scaglia contro Carrie, sia quando uccide l'assassino di Astrid.

A quel punto l'esplosione finale è il coronamento di un episodio in cui attualità, thriller e la solita fantapolitica si fondono. Rimane Dar Adal, meno consapevole del solito, sempre più scoperto e umano. Anche per lui rimane qualcosa da scoprire.

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