Homeland 6x09 "Sock Puppets": la recensione
La recensione del nono episodio della stagione di Homeland, intitolato Sock Puppets
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Si ritorna a dinamiche storiche, le stesse che hanno mosso nei primi decisivi anni il senso più profondo di Homeland, al di là della patina fantapolitica pure importante e che in questo episodio si ripropone forte. Non sembra un caso il fatto che l'episodio si apra con un'inquadratura fissa, che sà quasi di intervista-confessione, a Carrie che rievoca Brody senza farne il nome, il tremendo dubbio sulla maternità, il senso di colpa mai superato per la morte del padre di Franny. In realtà si tratta di altro, ma in fondo è solo il calcio d'inizio di un episodio che gioca sul triangolo di poteri e responsabilità tra Carrie, Saul e Dar Adal.
Invece non sarà così, e tocca a Saul e Carrie, grazie a un pentimento arrivato forse troppo in ritardo da parte di Javadi, raccogliere le prove per smentire il loro nemico. A farne le spese è la credibilità e la stima nei confronti del personaggio del "madame president elect" (da pronunciare rigorosamente così) Keane. Va bene un po' di frustazione di fronte a mezze verità e pericolo imminente, ma ci si aspetterebbe più polso fermo nelle circostanze, non reagire in modo scandalizzato scoprendo che i vertici possono mentire, o almeno non far mangiare la foglia all'avversario nel momento decisivo.