Homeland 6x09 "Sock Puppets": la recensione

La recensione del nono episodio della stagione di Homeland, intitolato Sock Puppets

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Spoiler Alert
A quanto pare ci siamo. Dopo varie stagioni in cui l'eminenza grigia Dar Adal si celava tra le pieghe della storia, a volte presunto villain, ma sempre e comunque uomo tanto pratico quanto spietato, pare che quest'anno Homeland arriverà alla resa dei conti con il personaggio. E malgrado l'idea delle fake news, della manipolazione per creare sconcerto di stringente attualità continui a permeare lo sfondo della vicenda, è l'anima più thriller ad emergere in Sock Puppets. Un episodio, il nono di una stagione che volge al termine, che rimette fortemente al centro i personaggi, i loro confronti a lungo rimandati.

Si ritorna a dinamiche storiche, le stesse che hanno mosso nei primi decisivi anni il senso più profondo di Homeland, al di là della patina fantapolitica pure importante e che in questo episodio si ripropone forte. Non sembra un caso il fatto che l'episodio si apra con un'inquadratura fissa, che sà quasi di intervista-confessione, a Carrie che rievoca Brody senza farne il nome, il tremendo dubbio sulla maternità, il senso di colpa mai superato per la morte del padre di Franny. In realtà si tratta di altro, ma in fondo è solo il calcio d'inizio di un episodio che gioca sul triangolo di poteri e responsabilità tra Carrie, Saul e Dar Adal.

In particolare il "diabolico" personaggio esce dall'ombra, si sporca anche di fronte ai nostri occhi, lui che raramente si era mostrato sincero di fronte alla telecamera. Lo vediamo vulnerabile, addirittura umano. Oscilla tra rabbia, la stessa che esplode contro un autista, forse per un sospetto che lo consuma, e la paura, quella mostrata di fronte ad un rabbioso Quinn. Proprio quest'ultimo si presenta a casa del vecchio mentore, un cane sciolto che non ha più nulla da perdere. Per un momento possiamo quasi credere che questa sarà la fine di Dar Adal, che tutto si concluderà così all'improvviso, nel momento in cui il castello di bugie sta per crollare.

Invece non sarà così, e tocca a Saul e Carrie, grazie a un pentimento arrivato forse troppo in ritardo da parte di Javadi, raccogliere le prove per smentire il loro nemico. A farne le spese è la credibilità e la stima nei confronti del personaggio del "madame president elect" (da pronunciare rigorosamente così) Keane. Va bene un po' di frustazione di fronte a mezze verità e pericolo imminente, ma ci si aspetterebbe più polso fermo nelle circostanze, non reagire in modo scandalizzato scoprendo che i vertici possono mentire, o almeno non far mangiare la foglia all'avversario nel momento decisivo.

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