Homeland 6x04 "Flash of Light": la recensione

La recensione del quarto episodio della sesta stagione di Homeland

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Spoiler Alert
Il dubbio rimane un elemento costante nelle storie raccontate di anno in anno da Homeland. Quel sottile velo di incompresione o ignoranza che deve esistere da cui non possono prescindere le relazioni in un mondo in cui le pressioni sono così alte. Flash of Light, quarto episodio della sesta stagione della serie di Showtime, provvede ancora una volta a riprendere questo elemento, che già avevamo visto farsi strada nelle precedenti puntate, e porgerlo come chiave di lettura dei rapporti tra i personaggi. E più saranno vicini e più proveranno rispetto l'uno verso l'altro, maggiori saranno i contrasti e i dubbi nel momento in cui la verità è inafferrabile ed è difficile porsi in un modo piuttosto che in un altro.

Su tutti il rapporto, mai veramente chiaro già nelle precedenti stagioni, ma sempre velato da una diffidenza reciproca e da una diversa visione del mondo, tra Dar Adal e Carrie. Qui, in un'occasione più unica che rara, vediamo il primo fuori dalla scuola in cui va Frannie, ed è un contesto davvero particolare per un animale da lavoro come lui, così diverso in un ambiente che non sia a lui congeniale. Qui, in un territorio per così dire neutro, si consuma il dibattito con Carrie a proposito delle consulenze al presidente eletto, e il fatto che Dar Adal si introduca affermando di "non essere Saul" e quindi bloccando ogni negazione da parte di Carrie dice  tutto.

Il terreno di scontro è quello delle consulenze sempre meno nascoste al presidente eletto, e la partita si gioca sulla notizia non confermata del mancato rispetto degli accordi di disarmo da parte dell'Iran in collaborazione con la Corea del nord. "Non confermata", è questo il punto. Qui insistono due punti di vista, il primo più aggressivo che dovrebbe muovere l'agire della CIA, il secondo più isolazionista che sarebbe sposato dalla nuova linea del presidente. E non c'è modo di sapere quale delle parti ha ragione.

Saul, in missione, cerca di vederci chiaro sulla faccenda. Ha l'occasione di rivedere Majid Javadi, capo dell'intelligence iraniana, vecchia conoscenza della terza stagione. Anche qui non ci saranno né conferme né smentite, ma solo la provocazione di chi ritiene che, a prescindere dalla verità, l'odio e la pace non siano una scelta, ma tutto sia già scritto. Ed è così che la serie si riallaccia alla vicenda di Sekou, tornato in libertà, ma deciso a non arretrare rispetto alle provocazioni precedenti. In un dialogo molto chiaro con Carrie la situazione verrà sviscerata e l'ex agente si troverà a condividere parte del punto di vista del ragazzo.

In Sekou, seppure con caratteristiche diverse, ritorna il fantasma di Aayan, il ragazzo della quarta stagione. Ne condividerà in ogni caso la sorte brutale, finendo vittima di un gioco più grande di lui. Anche qui l'intreccio si complica, ma, complicandosi, quantomeno costruisce collegamenti a distanza che rimettono pienamente in gioco Quinn, la sorveglianza di Carrie, forse un tentativo di screditare la linea del presidente Keane (ma sarebbe chiedere forse un po' troppo). Nel finale la scrittura di Homeland chiude nettamente la prima fase della stagione, quella introduttiva, per portare il gioco ad un livello più elevato.

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