Homeland 6x02 "The Man in the Basement": la recensione

Ritorna Homeland con il secondo episodio della sesta stagione: la recensione

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Spoiler Alert
I protagonisti di Homeland sono le costanti di un mondo, di una geopolitica che anno dopo anno, stagione dopo stagione, ci viene mostrata da diverse angolazioni, puntando l'accento ora su questo elemento ora su quest'altro. Eppure anche loro non sono immobili, ma cambiano. Cambiano per adattarsi alla storia che quell'anno Homeland vuole raccontare. In questo senso sono strumenti di una narrazione antologica, forse archetipi che trascinano da una stagione all'altra il background che ben conosciamo, che in certi casi ci importa e in altri no, che in certi casi è importante e in altri no.

The Man in the Basement, secondo episodio della sesta stagione di Homeland, arriva ad alcune settimane dal rilascio in anticipo della première. Come spesso accaduto in passato, Showtime ha deciso di agire in questo modo, eppure ci chiediamo quanto effettivamente un episodio come quello precedente potesse contribuire ad accrescere l'hype per una serie che, appassionati e fedelissimi esclusi, tutto sommato non smuove le acque della serialità già da un po'. Questo episodio peraltro non crea quasi nulla nel lungo periodo, o meglio, ciò che crea viene abbastanza ridimensionato in una vicenda che non ci dà grandi spunti sui quali appoggiarci.

C'è ancora Carrie che, tornando al discorso iniziale, da Drone Queen ora è diventata difensore dei musulmani per crimini legati al terrore internazionale. La sua ricerca la spinge su un sentiero che mette in scena ancora una volta contradditori, ma inevitabili a quanto pare, legami con la politica estera. La gestione della crisi passa attraverso funzionari che si sporcano le mani, altri, come Carrie, che disubbidiscono agli ordini, e piccole pedine che ne fanno le spese. Chi è Sekou, a prescindere dalle sue colpe personali, se non l'ennesima piccola figura in un gioco immenso e troppo grande? Eppure tutto viene ridotto a considerazioni umane e personali, la geopolitica a misura d'uomo.

Lo stesso avviene in un confronto tra Saul e Carrie, con il primo a sospettare apertamente che la sua ex pupilla stia consigliando in segreto il presidente eletto Keane. Al di là di bugie o conferme, ed è singolare come Dar Adal nel finale non condivida le informazioni in suo possesso, ciò che emerge è un quadro di interessi più o meno comuni. Forse nell'informazione sul mancato rispetto da parte dell'Iran degli accordi sul nucleare si può trovare un terreno comune. Rimane un grosso punto interrogativo la vicenda di Quinn. La scrittura ne ha fatto un nuovo Brody, distrutto e martoriato, ma la serie non ne avrebbe bisogno. In mancanza di ulteriori spunti che all'orizzonte non si vedono, una storyline che non convince.

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