Homeland 5x11 "Our Man in Damascus": la recensione

A un episodio dalla fine della stagione, Homeland gioca molto con l'attesa e la tensione della storia

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Spoiler Alert
Tensione, attesa e tanto senso di catastrofe imminente. Questo è stato, almeno fino alle battute finali, Our Man in Damascus, penultimo episodio della quinta stagione di Homeland. Con le storyline tutte allineate e collegate, si attende solo di conoscere la natura e l'esito dell'attentato progettato in una capitale europea. E Carrie, Saul, Allison e Quinn sono le pedine molto determinanti, in senso positivo o negativo, di un gioco nel quale non si dimostrano molto bravi. Forse perché la serie alle loro spalle non è stata in grado di definire bene le regole o di giocare secondo queste. Ancora una volta le forzature sono molte, ma questo è un episodio che si stringe molto intorno alla forza dei suoi protagonisti, riuscendo comunque a coinvolgerci.

E bisogna sottolineare il grande valore aggiunto rappresentato da Allison (e dalla sua interprete Miranda Otto) in questa stagione. L'arrivista che diventa traditrice e riesce a prendere in giro tutto e tutti. Certo, con un discreto aiuto da parte della sceneggiatura, che episodio dopo episodio ha posto la CIA in una condizione inerme e ingenua che non le si addiceva, ma nonostante tutto anche stavolta riesce a portare spingere l'evoluzione e la determinazione di questo personaggio un po' più in là. Stavolta addirittura inscenando uno scontro a fuoco che non è mai esistito, dirottando i sospetti dell'agenzia sull'attentato in tutt'altra direzione.

Ora, qui sorgono dei dubbi. Perché nonostante tutto è chiaro fin dal primo momento che la messinscena non potrà durare a lungo, e che la CIA si renderà conto quanto prima della situazione. In realtà è già una forzatura il fatto che Allison abbia passato il primo briefing. Quindi la domanda è: il personaggio di Allison dava per scontato che sarebbe stata scoperta? Ha cercato solo di guadagnare tempo? Vogliamo credere di sì, se non altro per dare il beneficio del dubbio alla serie (è assurdo pensare che senza i dubbi e i pregiudizi di Saul lei l'avrebbe fatta franca). Tutto un po' forzato quindi, ma ci passiamo sopra.

Che poi è quanto ripetiamo scena dopo scena, sostenuti dai soliti grandi momenti di Mandy Patinkin e Claire Danes, ma scoraggiati un po' da tutto il resto. Non è il massimo ricorrere per due volte nel giro di pochi minuti all'espediente di lasciare da solo un personaggio che avrebbe dovuto essere sorvegliato per permettergli di fare ciò che vuole, così come è troppo scoperta l'idea che tutto cada sempre nelle mani di Carrie, determinata però ad agire da sola. Rimarrà fuori il povero Quinn, che quest'anno ha sofferto tantissimo e che ancora non viene risparmiato in nome della sicurezza nazionale.

Tutto è caos, attesa, tradimenti, mancanza di sicurezze. Che è ciò che Homeland è stato quest'anno, che in un certo senso è anche il quadro internazionale che emerge nel racconto fantapolitico che ha legato Stato Islamico, Europa, CIA, leak di documenti. Non sarà perfetto, ma nel momento in cui l'episodio si blocca lasciandoci ancora con la voglia di vedere la prosecuzione della storia, allora si può trovare del bene in questa stagione e pensare che i personaggi hanno ancora qualcosa da dire.

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