Homeland 5x09 "The Litvinov Ruse": la recensione

Homeland continua a giocare con le coincidenze, ma la storia arriva a un punto di svolta

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Spoiler Alert
Se l'imprevedibilità fosse sempre un pregio, Homeland sarebbe una delle migliori serie in assoluto. Imprevedibilità non tanto degli eventi, ma anche e soprattutto del ritmo, delle false partenze, dei momenti che cadono nel vuoto e non vengono più raccolti perché il centro è qualcos'altro. E sarebbe bello poter definire esattamente cosa sia che tiene insieme ancora alla quinta stagione questo show, ma la verità è che non è affatto semplice, e The Litvinov Ruse ne è l'ennesima prova. Mentre il tradimento di Allison le esplode tra le mani, ma lei è brava a contenere i danni, Saul e Carrie si riavvicinano, mentre Quinn viene lasciato al suo destino che corre parallelo alla serie senza darci alcun indizio su dove porterà.

Il nucleo non può essere la storia, o almeno non solo quella. Al di là delle ripartenze annuali che hanno fatto di Homeland una serie quasi antologica, quest'anno il contesto internazionale è stato più strumento che oggetto del racconto, e spesso ci ha messo a dura prova. Homeland quest'anno lavora nel lunghissimo termine, sfugge ad un centro che definisca una volta per tutte gli obiettivi stagionali, passa da una minaccia all'altra, da un falso equilibrio all'altro. Prima i leak, quindi il colpo di Stato che si voleva organizzare, quindi la fuga prima di Carrie e poi di Saul. Nove episodi per giungere a questo punto, a quell'abbraccio tanto gratificante tra i due più importanti personaggi della serie. È in questa relazione tra maestro e allieva, tra colleghi, tra amici, che Homeland si rifugia nei suoi momenti più difficili. È la costante del racconto, e anche stavolta non delude.

L'intuizione geniale, ma in linea con il personaggio, di Carrie apre gli occhi a tutti sul tradimento di Allison. Soprattutto a Saul, che è costretto a sperimentare con il proprio sguardo varie forme di tradimento, non ultima una scena di sesso che per imbarazzo e contesto ricorda quella tra Carrie e Brody nella seconda stagione. All'epoca era soprattutto Quinn a soffrire, mentre qui è Saul. Comunque sia, in questa lunghissima parentesi iniziale dell'episodio, tra conferme, pedinamenti e intercettazioni, la verità su Allison viene allo scoperto, e porta immediatamente allo stallo successivo. I russi vengono scoperti, ma l'agente è brava e veloce a inventare una storia, che però ci auguriamo né Saul né soprattutto Dar Adal si bevano.

Ancora una volta, a quattro episodi dalla fine, ci chiediamo quale sia il centro di tutto. Forse non esiste per Homeland, forse – come l'assurda serie di coincidenze che hanno mosso tutto quest'anno, compreso il coinvolgimento di Quinn in una sottotrama mai efficace – fa tutto parte del gioco. Lentamente, Homeland si dimostra sempre più consapevole di se stesso, dei rischi che corre, del pericolo del tirare nella fantapolitica scenari e nomi così vicini e quotidiani per noi spettatori. La soluzione allora è giocare al rialzo, sfiorando la soglia dell'assurdo, per ricordarci costantemente che questa, dopo tutto, è fiction. Che sia una strategia vincente non è detto, ma, come Homeland, era imprevedibile.

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