Homeland 5x03 "Super Powers": la recensione

Carrie torna al suo passato nell'ultimo episodio di Homeland

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Spoiler Alert
Magari è bene ricordarlo: due anni fa in questo periodo seguivamo le paturnie amorose ed esistenziali di Dana Brody, mentre ora sul tavolo c'è un piano della CIA per assassinare Bashar al-Assad. Così, solo per ricordare dove eravamo e dove siamo. Magari non sarà il massimo della verosimiglianza – Homeland non lo è mai stato – e qualche svolta nei rapporti tra i personaggi non ci convince del tutto, ma sono ostacoli su una storia che va avanti e che ha qualcosa da dire, mentre due anni fa era impantanata in una palude. Super Powers è un episodio ambizioso, solido, pieno di eventi. Il cerchio di foto con il quale si circonda Carrie nella sua ricerca della verità è il simbolo di una storia che più allarga i suoi orizzonti e più torna a quel trio di personaggi centrali attraverso i quali viene raccontata.

Si riparte da Carrie, o meglio Carrie riparte da se stessa. Da quella parte di sé che ha tenuto sotto controllo per tanti anni e alla quale ora si rivolge per venire a capo del tentativo di omicidio che l'ha riguardata in Libano. Allontanata Frannie – ottima mossa – Carrie sospende il suo trattamento, e in breve torna a quella agilità mentale, molto insidiosa, che le riconoscevamo nelle prime stagioni. Homeland è anche questo lato della sua protagonista principale, un lato che non vedevamo da un pezzo e nel quale Claire Danes rientra con la consueta naturalezza, a poco a poco, sotto lo sguardo vigile del suo compagno. Le servirà? Sì e no, nel senso che le apparizioni (rivediamo Aayani) e gli schematismi assurdi la metteranno fuori gioco all'inizio.

In tutto questo Jonas reagisce forse con un'eccessiva indignazione alla scoperta di ciò che Claire ha fatto in precedenza (insomma, non lo sapeva già?) e tutto serve più che altro a far sì che la protagonista sia da sola al momento dell'arrivo di Quinn. Più che altro è in questo frangente che il suo stato d'allerta si rivela importante, anche se non decisivo. Quinn è dieci passi avanti a lei, non sbaglia una mossa, o quasi, e infine raggiunge il suo scopo, qualunque esso sia e chiunque sia la persona per cui sta lavorando.

Saul in scena come mai fino ad ora in questa stagione. Sfuggente e inafferrabile fino all'ultimo. Siamo abituati a considerare il personaggio di Mandy Patinkin come una persona essenzialmente buona, onesta, forse troppo umana per il ruolo che svolge. E invece dimentichiamo che è un professionista impeccabile, che buona parte delle mosse a sorpresa delle ultime stagioni sono state architettate da lui, che nei momenti più decisivi è sempre stato presente e pronto a fare la cosa necessaria. Molto interessante lo scambio tra lui e During all'inizio dell'episodio, in cui si discute sulla legittimazione delle trattative con Hezbollah da un lato, e dall'altro si contesta l'autorità con la quale gli Stati Uniti si permettono di incidere nella politica estera delle zone più a rischio. Tutto il suo segmento si conclude con una rivelazione che vorrebbe essere sorprendente: in effetti lo è, nel senso che non è molto prevedibile, ma non è nemmeno così sconvolgente come la messa in scena vorrebbe suggerire.

Homeland non dà risposte secche, nega fin quando può l'evidenza per bocca dei suoi personaggi, ma poi ritorna sempre a quelle contraddizioni che muovono lo scenario internazionale. E soprattutto rimane calato nell'attualità, piegandola a suo piacimento senza porsi troppi problemi o scrupoli.

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