Homeland 4x10 "13 Hours in Islamabad": la recensione

Decimo episodio della stagione per Homeland: ci avviciniamo al finale con nuove sorprese nella trama

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Spoiler Alert
Facendosi strada fra legittimi dubbi e perplessità, la quarta stagione di Homeland ha convinto episodio dopo episodio, costruendo un arco narrativo nuovo, forte e sorprendente. 13 Hours in Islamabad continua su questa scia positiva, con più svolte inattese di quante ci aspetteremmo, la maggior parte ben gradite. Mancano due atti al finale di stagione – non di serie, che è già stata rinnovata per il prossimo anno – e il thriller fantapolitico di Showtime continua ad tenerci sulle spine.

Dopo lo sconcertante ed esplosivo finale di due settimane fa, gli occhi erano puntati sull'ambasciata americana in Pakistan e sulle mosse di Haqqani. E non perché non ci interessasse la sorte di Carrie e di Saul, ma perché la vita dei nostri due protagonisti – qua la scrittura cammina davvero sul filo dell'incredulità – non era in condizione di "reale" pericolo. Molto più devastanti, per i co-protagonisti, sono invece gli esiti dell'attacco all'ambasciata americana. Haqqani aveva previsto tutto fin dal principio, ci viene detto. Non è un'idea facile da mandar giù – troppe le macchinazioni e gli elementi casuali che ci hanno portato fino a questo punto – ma ciò che accade ripaga dello sforzo necessario per accettarlo.

Homeland gioca con l'attualità e la storia, raccontando la sua personale rielaborazione di eventi come l'attacco all'ufficio diplomatico di Bengasi nel 2012 o la più nota rappresaglia contro l'ambasciata americana in Iran del 1979. Certo, lo fa a modo suo. Lasciando spazio all'azione, ritagliando tutti gli eventi sulle decisioni dei personaggi, concedendosi qualche esagerazione. Ecco quindi il rientro in grande stile di Quinn, la miopia di Lockhart, la crudeltà di Haqqani. E infine portandosi via Fara. Complimenti a Nazanin Boniadi e complimenti alla serie che, rispetto allo scorso anno (che, ricordiamolo, a questo punto aveva appena finito di raccontarci le disavventure di Dana) ha saputo costruire e definire meglio il personaggio, mai del tutto sotto i riflettori, ma curato quel tanto che basta a farci sentire la sua mancanza.

L'episodio quindi è spezzato nettamente in due parti. La prima più movimentata che conclude la parentesi all'ambasciata, e la seconda incaricata di rimettere insieme i pezzi, fare il punto sulle scelte di Carrie, sul senso di colpa di Saul, sulla vergogna che lega Martha e Dennis Boyd. È stato uno degli episodi più estremi, carichi di azione e "inverosimili" di sempre, ma continuo a credere che questa seconda pelle si adatti bene a ciò che Homeland ha mostrato nei primi tre anni. Rimane ora da raccontare solo l'epilogo di questa bella stagione.

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