Homeland 3x12 "The Star" (season finale): la recensione
Il nostro commento allo sconvolgente finale della terza stagione di Homeland
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Carrie e Brody sono le due personalità spezzate e irrisolte che cercano il proprio naturale completamento l'una nelle braccia dell'altra. Li abbiamo visti in questi tre anni andare contro le proprie origini, gli apparati che li hanno partoriti, cresciuti e sfruttati senza pietà per poi sacrificarli sull'altare delle esigenze di politica internazionale. Una voce fredda, che assume il volto ora di Saul, ora di Lockhart, ora di Dar Adal, ci dice che è giusto così, e che anche in un mondo mutato come quello di Homeland, dopo l'attentato di Langley la cui soluzione viene rimandata al prossimo anno, le regole rimangono quelle dello spionaggio classico, che risolve i piccoli drammi dei propri agenti nel più vasto gioco internazionale. Con un colpo di mano non totalmente imprevedibile, e che nel corso del dialogo in cui Carrie rivela di essere incinta diventa quasi una certezza, Brody viene giustiziato.
Si è tirata troppo la corda con Brody e, quando ormai questa stava per spezzarsi, si è preferito tenderla e usarla per impiccarlo, piuttosto che lasciarlo agonizzante in una serie nella quale ormai aveva dato quanto poteva. Da marine a terrorista, da terrorista a collaboratore, e poi ancora latitante, pedina nelle mani della CIA, e infine arma umana destinata al macello. Esiste un confine dopo il quale lo sfruttamento e il mutamento di un personaggio diventa insostenibile e troppo contraddittorio. Si può discutere se questo limite nel caso di Brody e del suo ultimo recupero e riabilitazione fosse stato superato, ma certamente, con un rinnovo obbligato per la serie di punta del network, e con l'impossibilità arrivati a questo punto di dare un lieto fine a lui e Carrie, la soluzione sembrava obbligata.
La terza stagione di Homeland è stata anche la più debole, a causa soprattutto di una prima parte lenta, gravata dalla terribile zavorra del personaggio di Dana, della sua storyline improbabile e inutile (tornando a quanto dicevamo al principio, la "fillerosa" storia della sua fuga non ha avuto senso) e più in generale dall'intera famiglia di Brody. Il parziale riscatto è arrivato da metà in poi, con un'improvvisa accelerazione, sintomo forse di un carico di idee non in grado di reggere per una stagione intera (lo stesso Alex Gansa lo ha praticamente ammesso), che ci ha regalato le migliori e più intense puntate dell'anno. È stato anche l'anno in cui la serie ha praticamente cambiato genere, passando dallo spionaggio alla fantapolitica e liberandosi di qualunque catena legata alla verosimiglianza della storia narrata. Alcuni spunti, ma questo è tipico della serie, sono stati lanciati ma non sfruttati, come il solito Quinn o la new entry Fara. Cosa ne sarà di Homeland l'anno prossimo non lo sappiamo, e forse ancora non lo sanno nemmeno gli autori: probabilmente si tratterà di un nuovo inizio, di un Homeland 2.0 tutto da scoprire.