Homeland 3x11 "Big man in Tehran": recensione

Homeland continua a crescere: puntata densa, tesa e ricca di svolte sorprendenti

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Homeland è una mediocre serie di spionaggio, ma un'ottima serie fantapolitica. La differenza sembra minima, ma è determinante nel segnare la distanza tra la scrittura, e le motivazioni alla base, di uno show come questo rispetto a un The Americans a caso. E tanto più lo è nel momento in cui si è chiamati a giudicare e a confrontarsi con ciò che si vede e che ci viene raccontato. Che lo scacchiere della politica internazionale, soprattutto quello riguardante i tesi rapporti tra gli Stati Uniti e tutta la sfera mediorientale, sia determinato in conclusione dall'esuberanza di un'agente bipolare, per di più adesso incinta, dal desiderio di riscatto di un padre nei confronti della figlia e dai piani a lungo termine di un direttore pro tempore che ha messo di fronte al fatto compiuto l'intero governo americano, non ha senso.

Il Medio Oriente, questa misteriosa espressione geografica che ci sembra così lontana e così vicina al tempo stesso, non è un semplice agglomerato unico di potenziali terroristi. Al suo interno è percorso da correnti, situazioni particolari e chiaramente troppo vaste ed eterogenee per poter essere affrontate in uno show come questo. Tanto si doveva dire, o forse no, chissà. Fatto sta che Homeland, già prima, ma soprattutto dall'attentato di Langley, ha nettamente deviato dal percorso storico a noi noto, per andare a narrare una storia diversa. Ovvio, ogni storia televisiva crea, a modo suo, un universo proprio nel quale muoversi a suo piacimento, ma Homeland si differenzia nel modo in cui le vicende narrate hanno un impatto concreto sul mondo. Per fare un esempio, una serie che potremmo definire di "fantascienza" come Agents of S.H.I.E.L.D., si svolge anch'essa in un mondo che, per i motivi che sappiamo, non è assolutamente il nostro. Questo è il senso del prefisso fanta- per fantapolitica, il genere cui Homeland appartiene.

Tutta questa lunghissima premessa per dire che Big man in Tehran è un ottimo episodio, in linea con i precedenti, e quindi molto lontano dall'impostazione della prima metà di stagione. Sul modo in cui in appena tre puntate Brody sia stato ripescato, riabilitato e gettato in una situazione pericolosissima, si potrebbe obiettare che è un discorso che avremmo preferito iniziasse qualche puntata prima, invece di accalcare questa mole di avvenimenti in poche settimane. Ma per una serie che sembrava ormai aver dato tutto il possibile e che si è ripresa alla grande, non ci si può lamentare.

Il grande uomo di cui si parla è chiaramente Brody, alle prese con l'ennesimo gioco nelle parti, pedina sacrificabile nelle mani di Saul, costretto con le spalle al muro ad una scelta quasi impossibile. A far pendere l'ago della bilancia, dopo la soffiata di Carrie (davvero incrollabile la fiducia che Saul ripone in questa persona, pur conoscendone il temperamento) che lo informa dell'abbandono da parte del governo americano, è probabilmente l'affetto che lega Brody a Dana, la possibilità di riscattarsi se non agli occhi della ragazza, che vedendo i telegiornali americani della settimana avrà completamente perso le speranze, almeno con se stesso. Forse quello è uno dei pochi lampi di verità che emergono nel dialogo tra Brody e la vedova di Abu Nazir che, convinta dalle sue parole, lo condurrà infine di fronte al vero obiettivo della missione.

L'episodio è teso, denso, ben girato, ricco di eventi e svolte inattese e, tranne qualche esagerazione o ingenuità ampiamente perdonabile visto il discorso sul genere dello show, davvero impeccabile. Gli sfuggenti personaggi dello show continuano a cambiare pelle, e la serie con essi, portandoci su un gradito e imprevedibile sentiero. La prossima settimana termina la terza stagione di Homeland, e non abbiamo idea di cosa possa succedere.

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