Homeland 3x05 "The Yoga Play": la recensione

Alla quinta puntata alcune storyline arrivano ad una svolta

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Solite gioie e dolori – più i secondi che le prime – nella quinta puntata dell'anno di Homeland, la prima dopo la rivelazione del doppio gioco messo in atto da Saul e Carrie. L'argomento in questione, sicuramente l'evento più importante delle prime quattro puntate, viene toccato, ma non approfondito, in un rapido dialogo tra Saul e Quinn, nel quale quest'ultimo viene messo al corrente della situazione. Per la quarta volta su cinque puntate poi abbiamo Brody ancora latitante nella vita vera e sul piccolo schermo, mentre, finalmente, arriva a conclusione con un sistematico ritorno al punto di partenza la vicenda di Dana.

Se le serie tv via cavo, tra le altre cose, ci hanno insegnato che, probabilmente, più di venti episodi a stagione sono troppi per mantenere una costante qualità, i prodotti inglesi hanno rilanciato la sfida, scendendo, in più di un'occasione, a 6-8 puntate all'anno per i propri show. Perché se sul fatto che la seconda metà di stagione di Homeland alzerà decisamente il ritmo siamo tutti d'accordo, non si può tralasciare, e liquidare come semplice "preparazione per il futuro", una gestione del minutaggio abbastanza discutibile fino ad ora. Il nucleo di Homeland è ancora intatto, ancora tutto da sfruttare, ma rimane al palo, come Brody, in favore di sottotrame meno interessanti come quella dei novelli Romeo e Giulietta (così vengono definiti nell'episodio: sorridiamo pensando che la carriera di Claire Danes partì proprio da Romeo + Juliet).

Se nelle scorse puntate la vicenda della fuga di Dana è stata liquidata come inutile o poco interessante, stavolta non si può soprassedere, perché è proprio sulla risoluzione di questa che verte l'intero svolgimento dell'episodio. Jessica si reca da Carrie e le chiede aiuto per ritrovare la figlia: la sua preoccupazione è accresciuta dal timore che il suo accompagnatore possa essere anche un assassino. Rischiando di far saltare la copertura, Carrie si incontra in segreto con un collaboratore dell'FBI e, semplicemente, gli chiede di trovare la ragazza. Nel frattempo, non si capisce bene se grazie all'intervento di Carrie, i notiziari iniziano a parlare dei due fuggitivi, e la trasmissione viene puntualmente vista dalla stessa Dana che, impaurita, fugge e finisce dritta fra le braccia di un marshall. Ritorna a casa, per l'ennesima volta passa di fronte a madre e fratello ammutoliti, si chiude in camera e propone una cryface non troppo riuscita. Dopo cinque episodi, si chiude così la vicenda.

Questo per quanto riguarda i dolori. E le gioie? Saul Berenson è diventato il protagonista della serie, ed è un ottimo protagonista, che sfrutta la recitazione più misurata di Mandy Patinkin, il suo contrapporsi, emotivamente in primo luogo, ai bravissimi, ma molto caricati nelle loro espressioni, Danes e Lewis. Abituati a veder urlare il proprio dolore da parte dei due, la silenziosa sopportazione e sofferenza di Saul di fronte alla perdita di un posto che sentiva già suo, all'inversione di rotta dell'agenzia rispetto ai propri metodi, alla relazione extraconiugale della moglie (purché non diventi la trama sostitutiva di quella di Dana), sono una boccata d'aria fresca. Funzionano anche le meccaniche doppiogiochiste messe in atto da Carrie e soci (e in fondo non sorprende troppo, conoscendo il personaggio, il rischio che l'agente accetta pur di dare una mano alla figlia di Brody). In particolare poi è interessante rivedere Quinn in un ruolo da co-protagonista (strano personaggio, sempre sul punto di diventare centrale e puntualmente rigettato agli angoli dalla scrittura). Buona anche la scena del sequestro finale. Ricapitolando: niente più Dana on the road, e finalmente Carrie e Javadi l'uno al cospetto dell'altro. Anche questa settimana Homeland sembra sul punto di fare sul serio, sperando che stavolta ci riesca davvero.

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