Homeland 3x04 "Game On": la recensione

Il colpo di scena dell'ultima puntata ci ha sconvolto, ma è stato ben costruito?

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Un bravo illusionista ti inganna, gioca con le tue percezioni, ma non bara, mai. Game On, quarto episodio dell'anno di Homeland, è nei suoi ultimi tre minuti, in un twist che ha monopolizzato, e continuerà a farlo, i discorsi dei fan della serie anche più dell'annuncio del rinnovo dello show. Prima di continuare precisiamo che chiunque non abbia visto la puntata dovrebbe farlo prima di proseguire con la lettura. Tornando alle illusioni, negli ultimi anni sono usciti due film sulla magia: The Prestige e Now You See Me. Senza rivelare nulla, diciamo che entrambi si concludevano con un colpo di scena, che tuttavia soltanto nel primo caso funzionava. Perché? Nella differenza tra quei due finali si trova il giudizio sulla discussa, e discutibile, soluzione di Homeland.

Le seguenti riflessioni sul finale dell'episodio si basano, ovviamente, sulla puntata stessa, ma anche sulle interessanti dichiarazioni rilasciate dal produttore esecutivo Alex Gansa che, logicamente, prendiamo per attendibili (lo stesso produttore è il primo a parlare di illusionismo). Le interazioni che abbiamo visto nelle prime tre puntate, quasi quattro, della stagione, le scenate di Carrie, la sua isteria e la sua angoscia, il fatto che Saul l'avesse venduta alla stampa per dare respiro ad un'Agenzia già sommersa da problemi interni, tutto ciò era falso, velato da un patto segreto stipulato in un momento imprecisato tra lei e il suo mentore. Mettiamola così: al cinema come alla televisione la regia e il montaggio possono ingannare lo spettatore, ma le interpretazioni e la scrittura non dovrebbero farlo. Perché se da un lato è vero che Homeland dai suoi capovolgimenti di fronte ha sempre tratto linfa vitale, è altrettanto vero che il colpo di scena puro è altro materiale, e dovrebbe essere trattato in modo adeguato.

Tornando ai nostri esempi cinematografici, nel primo che abbiamo citato il finale illuminava in maniera retrospettiva tutto il percorso seguito dai protagonisti fino a quel momento, mentre nel secondo era un semplice e impensabile deus ex machina addirittura illogico se rapportato all'intero film. Alex Gansa afferma che la disperazione di Carrie, sola sul divano nel finale della premiere, mentre assiste alla conferenza in cui Saul la "tradisce", sia dovuta al fatto che la protagonista "non si aspettava di essere così colpita dal capire che è lei ad essere incolpata per quanto accaduto, quindi le emozioni sono inaspettate". E via di seguito tutto il resto: le scenate di fronte alla commissione, al ristorante, il tentativo di rilasciare un'intervista, eccetera. Il discorso è tutto qui: questa seconda lettura degli eventi sembra troppo artificiosa, poco elegante e poco in linea con le reazioni mostrate.

Probabilmente è ingiusto ricorrere a Breaking Bad come termine di confronto, ma il paragone ci sembra calzante. Nella serie di Gilligan uno degli elementi più soddisfacenti era notare la sovrapposizione in Bryan Cranston di due diverse sfumature interpretative, quella in cui vestiva i panni di Walter White, e quella ancora superiore in cui Walter stesso interpretava le proprie bugie. In Carrie Mathison, e prima ancora in Claire Danes, questa sovrapposizione non c'è stata. Quello che è stato mostrato è stato la solita protagonista, sofferente e distrutta (e anche eccessiva e spesso fuori luogo, se è vero, come afferma Gansa, che l'accordo con Saul potrebbe risalire anche al giorno dopo l'attentato). Si può sorvolare sul fatto che il piano fosse macchinoso, per non dire molto azzardato, ma non sulle risposte emotive, sugli atteggiamenti, sui comportamenti tenuti dai protagonisti.

La problematica maggiore, arrivati a questo punto e con la necessità di costruire una quarta stagione, è un'altra. Perché, nonostante il twist finale, prima di quei tre minuti abbiamo visto un'intera puntata, una puntata in cui il livello generale – ad eccezione del momento del presunto tradimento di Carrie – non si era alzato particolarmente al di sopra della media stagionale. La vicenda di Dana (per adesso simile a La rabbia giovane, sperando che non diventi Natural Born Killers) aiuta la serie a raggiungere il minutaggio settimanale, ma non fa molto più di questo (anche qui, forse presto scopriremo un collegamento tra il boyfriend e gli iraniani, ma a quel punto, ne sarà davvero valsa la pena?), Brody scompare anche questa settimana (verrà reintrodotto sicuramente con tutti gli onori, e già il primo collegamento con Caracas è stato lanciato durante l'episodio, ma, anche qui, siamo soddisfatti del trattamento che sta subendo il personaggio?). Gli sconvolgimenti vanno benissimo, i colpi di scena, magari più giustificati, anche, ma a raccontare tutto devono esserci innanzitutto dei personaggi, quelli che sono mancati più di tutto il resto in queste quattro puntate.

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