Homeland 3x03, "Tower of David": la recensione
Ancora stasi e lentezza nella puntata che rimette in gioco anche Brody
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Homeland ha sempre vissuto dei grandi sconvolgimenti del plot di base che ne hanno fatto la fortuna nei primi due anni. È difficile raccontare il soggetto della storia a chi non ne abbia mai sentito parlare senza accennare anche a tutti i cambiamenti che nel tempo hanno scombinato le carte. E Carrie e Brody sono da sempre le manifestazioni concrete di questa mancanza di equilibrio, di questo nucleo sofferente che è il minimo comun denominatore di personalità altrimenti sfuggenti. Il ritorno di Brody, oltre a rappresentare un'alternativa molto gradita alla storyline della sua famiglia, sembra riconfermare questa tesi per tutta la sua durata. Pochi dialoghi, poche risposte, soltanto il contesto di degrado e mortificazione del Venezuela.
Damian Lewis e Claire Danes sono davvero degli ottimi interpreti. Forse non vale la pena sottolinearlo ad ogni episodio, ma ogni tanto è giusto ricordarlo. Ciò che manca è un contesto vivo che li valorizzi al di là della semplice, ripetuta e già vista espressione di un tormento che è valore aggiunto se inquadrato all'interno di qualcos'altro (ad esempio la caccia ad Abu Nazir) ma che stanca velocemente, anche perché già visto, se lasciato a se stesso. L'idea alla base dell'episodio, ideata dal defunto Henry Bromell e completata dal figlio William, è significativa e interessante, ma manca di quella spinta narrativa che da sempre Homeland accompagna alle tensioni emotive. Tre episodi preparatori in una stagione di dodici sono troppi e anche se questa settimana la serie ha fatto registrare un miglioramento rispetto alle prime due puntate (soprattutto grazie alla mancanza di Jessica e Dana) l'impressione è che sia necessaria una svolta.