Homeland 3x02 "Uh... Oh... Ah...": la recensione

Homeland continua a giocare su più fronti, alcuni deludenti, altri più riusciti, aspettando il ritorno di Brody

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi
Premesso che Homeland non ha mai dato eccessivi punti di riferimento ai suoi spettatori circa la direzione che avrebbe intrapreso, premesso che riprendere le fila della storia dopo lo sconvolgimento del season finale dell'ultima stagione necessita di un periodo di assestamento, premesso il mantenimento di quel nucleo tematico e narrativo che passando di protagonista in protagonista rimane, anche ora, sempre intatto, cos'è che non funziona in questo inizio di terza stagione? "Uh... Oh... Ah...", secondo episodio di quest'anno, oltre a candidarsi come puntata con il titolo più strano di sempre, riprende e conferma le perplessità suscitate da Tin Man is down: dispersivo, per certi versi ripetitivo e statico, non è da bocciare interamente ma è al di sotto degli standard fissati dalla stessa serie.

Nonostante sia evidente il tentativo di creare un parallelo tra la sofferenza di Dana e quella di Claire, le due facce concrete dello sconvolgimento causato dalle azioni di Brody, la scelta di dedicare poco meno di metà del minutaggio totale delle due ultime puntate alla famiglia dell'ex marine è una scelta che non favorisce la tensione del racconto e che non funziona. La famiglia di Brody ha sempre vissuto della luce oscura riflessa dal protagonista: una volta abbandonata a se stessa non è in grado di sostituire i propri drammi personali a quelli di quel personaggio. Salvando uno scambio di battute tra Dana e Jessica ("She's famous in a bad way","The word is infamous"), il resto della storyline semplicemente con colpisce, non suscita interesse, sembra incanalarsi sugli stessi errori commessi lo scorso anno – sempre con Dana – e non illude nemmeno circa il suo possibile incidere sul nucleo della storia.

Già, ma qual è il nucleo della storia? Quando il male aveva un volto, quello di Abu Nazir, lo scontro e il conflitto interno dei protagonisti potevano esteriorizzarsi nella sua cattura, ma adesso? Homeland, nel segmento meglio raccontato in queste due puntate, ritorna alle tensioni che inizialmente lo muovevano, al sottile rapporto paternalistico e conflittuale tra Carrie e Saul. In un momento in cui tutto vacilla, quest'ultimo personaggio è in questo momento il vero pilastro della storia, a livello di grande interpretazione (il bravissimo Mandy Patinkin) e di ottima scrittura. Gli autori avevano anticipato come uno dei grandi temi della stagione sarebbe stato l'esplorazione delle nuove responsabilità dopo l'attentato, e così è. Saul e Carrie si incontrano solo alla fine dell'episodio, solo per pochi secondi, ma la tensione fra i due corre silenziosa per tutto l'episodio.

Il confronto tra Carrie e Saul sostituisce quindi quello tra la protagonista e Brody, in un gioco delle parti in cui la serie si ricorda di essere grande e di non dover necessariamente esplicitare ogni cosa, ma di poter, e dover lasciare allo spettatore il beneficio del dubbio, la possibilità della scelta. Buona anche l'introduzione del personaggio di Fara, un po' meno il tentativo di caratterizzazione di Quinn che si risolve in una minaccia poco credibile. Carrie, nemmeno a dirlo, è l'oggetto più indecifrabile: abbiamo già visto tutto questo? Stiamo tornando al baratro in cui la protagonista era scivolata alla fine della prima stagione? È quello che vogliamo vedere, ma soprattutto, è quello che gli autori ci vogliono raccontare? Questo lo scopriremo nelle prossime puntate, per ora tre fronti aperti: uno deludente, uno soddisfacente, uno in bilico. E la prossima settimana se ne apre un quarto: ritorna Brody.

Continua a leggere su BadTaste