Home Team, la recensione

Per niente divertente e incapace di creare empatia, Home Team è una commedia sportiva insapore

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La recensione di Home Team, disponibile su Netflix

È chiara l’intenzione di Home Team: essere una commedia sportiva senza grandi pretese, divertente ed emotiva quanto basta (giusto un pizzico, nei momenti standard di intensità agonistica e personale che il genere richiede) per riuscire ad essere un buon “comfort movie” mordi e fuggi. La semplicità è però un’arma a doppio taglio, e Home Team si fa decisamente molto male incagliandosi in una comicità impacciata e mancando della capacità di creare empatia con le difficoltà dei personaggi.

Tratto da una storia vera, questo film diretto da Charles e Daniel Kinnane ha per protagonista il coach dei New Orleans Saints Sean Payton. Payton - interpretato da Kevin James - a tre anni di distanza dalla vittoria al Super Bowl viene travolto da uno scandalo che vede alcuni suoi giocatori accusati di farsi pagare per fare male agli avversarsi. Non si tratta di un’accusa diretta, ma ad ogni modo Payton viene allontanato dalla NFL per un anno e decide così (di punto in bianco, senza che ci sia un vero trigger) di tornare a casa in Texas dove si ritroverà ad allenare al fianco del giovane coach Troy (Taylor Lautner) la scapestrata squadra di football dove gioca il figlio: un’occasione per riconnettersi con lui e per ritrovare il piacere del gioco e dello spirito sportivo.

La solfa è sempre quella, ma almeno è chiara: l’importante non è vincere ma partecipare. Questa è forse l’unica cose che riesce a comunicare sinceramente Home Team. Ma, per tutto il resto, durante l’intera visione non si ha mai, nemmeno una volta, la sensazione di stare empatizzando con Sean poiché semplicemente non se ne capisce l’urgenza del conflitto. Visto solamente mentre allena e in piccole gag con il receptionist dell’hotel dove lavora, Sean è un personaggio che rimane costantemente bidimensionale e che, ermeticamente, non sembra volerci rivelare né a parole né a gesti quale sia davvero la posta in gioco (emotiva e professionale) quando cerca di riscattare una squadra di dodicenni.

Più interessato a riempire le caselle dei momenti tipici del genere (il primo fallimento della squadra, il cambio di strategia, i momenti di brotherhood, il declino e la nuova gloria) che a darle un senso per i suoi specifici personaggi, Home Team non sa nemmeno essere divertente. La sua comicità è infatti ridotta a due soli personaggi collaterali - il sopracitato receptionist e il vice coach ubriacone - e che si limitano a gag dallo spirito demenziale totalmente fuori tono e fuori ritmo rispetto a tutto il resto. Quando è invece la situazione che prova ad essere comica (una sequenza agghiacciante di vomito collettivo) il risultato è semplicemente disturbante.

Kevin James, che in teoria è un attore caratterista della commedia demenziale (ha spesso collaborato con Adam Sandler, che di questo film è infatti produttore), qui è serissimo dall’inizio alla fine: il suo personaggio, paradossalmente, non dà nessun tipo di contributo comico, né situazionale né mimico/fisico.

Alla fine dei conti Home Team né parla di adulti che si “salvano” tornando ragazzi né di ragazzi che imparano a diventare adulti: un po’ film di redenzione e un po’ teen movie, non è realmente nessuno dei due.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Home Team? Scrivetelo nei commenti!

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