Home Team, la recensione
Per niente divertente e incapace di creare empatia, Home Team è una commedia sportiva insapore
È chiara l’intenzione di Home Team: essere una commedia sportiva senza grandi pretese, divertente ed emotiva quanto basta (giusto un pizzico, nei momenti standard di intensità agonistica e personale che il genere richiede) per riuscire ad essere un buon “comfort movie” mordi e fuggi. La semplicità è però un’arma a doppio taglio, e Home Team si fa decisamente molto male incagliandosi in una comicità impacciata e mancando della capacità di creare empatia con le difficoltà dei personaggi.
La solfa è sempre quella, ma almeno è chiara: l’importante non è vincere ma partecipare. Questa è forse l’unica cose che riesce a comunicare sinceramente Home Team. Ma, per tutto il resto, durante l’intera visione non si ha mai, nemmeno una volta, la sensazione di stare empatizzando con Sean poiché semplicemente non se ne capisce l’urgenza del conflitto. Visto solamente mentre allena e in piccole gag con il receptionist dell’hotel dove lavora, Sean è un personaggio che rimane costantemente bidimensionale e che, ermeticamente, non sembra volerci rivelare né a parole né a gesti quale sia davvero la posta in gioco (emotiva e professionale) quando cerca di riscattare una squadra di dodicenni.
Kevin James, che in teoria è un attore caratterista della commedia demenziale (ha spesso collaborato con Adam Sandler, che di questo film è infatti produttore), qui è serissimo dall’inizio alla fine: il suo personaggio, paradossalmente, non dà nessun tipo di contributo comico, né situazionale né mimico/fisico.
Alla fine dei conti Home Team né parla di adulti che si “salvano” tornando ragazzi né di ragazzi che imparano a diventare adulti: un po’ film di redenzione e un po’ teen movie, non è realmente nessuno dei due.
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