Holly, la recensione | Festival di Venezia

Cinema di ragazzi e lutti che usa un pretesto (forse) sovrannaturale, Holly sembra avere molta carne al fuoco ma è l'esatto contrario

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Holly, il film di Fien Troch presentato in concorso al Festival di Venezia

Holly è davvero in grado di migliorare l’umore delle persone con la sola imposizione delle mani? Sul serio ha il potere di calmare gli esseri umani toccandoli? Il film di Fien Troch se lo chiede senza dare una risposta chiara così a lungo che alla fine la cosa smette di avere un’importanza, ma non perché venga superata in interesse da un senso più grande. Smette di avere importanza per eccesso di irritazione. Remissiva e sempre sperduta in qualcosa che non capisce, Holly attraversa tutto questo film che porta il suo nome senza meritarsi il titolo, non ha nessuna caratura né riesce a fare di questa strana cosa che le sta accadendo un viaggio che ci possa appassionare. Eternamente bloccata in frasi di poche parole a bassa voce che, si può ipotizzare, è uno dei molti modi con cui il film cerca di rappresentare l’età adolescente, subisce la vita mentre noi subiamo il film.

È cinema di adolescenti nordeuropei (BENELUX principalmente), dotato di quello stile molto partecipe e vicinissimo ai ragazzi dei film scandinavi, unito all’astrazione del cinema fiammingo. Quindi sta lì, con loro, vicino alle loro facce e ai loro broncetti, ma loro sono distanti dal mondo che abitano. Come se i patemi tipici dell’adolescenza fossero più riconoscibili e evidenti in quella parte del mondo Holly non inizia per niente male. Una ragazza ha una premonizione un mattino, chiama un’amica dicendole di non andare a scuola perché si sente che accadrà qualcosa di brutto. E infatti la scuola ha un incendio in cui muoiono alcuni ragazzi.

Da lì Holly è osservata e una donna sembra scoprire che al suo solo tocco le persone migliorano di umore. Ma lei non ne è conscia. La coinvolge quindi in attività benefiche e in breve diventa nota e benvoluta nella comunità per questo dono. Non è difficile immaginare che tutto questo amore per lei ben presto svelerà anche il suo opposto. Uno score da film dell’orrore italiano ci mette sulla pista del sovrannaturale ma il resto del film cerca di bilanciare. Forse la gente si è solo convinta che lei abbia questo potere perché ha bisogno di credere in qualcosa che la aiuti a superare il lutto di questa tragedia.

Una scarsità di sviluppi e un’inconsistenza generale di archi narrativi, drammi e passioni nordeuropee fiacca ogni resistenza lungo Holly, film senza qualità che nel finale sembra quasi intuirlo e si affretta ad accelerare, facendo solo peggio. È proprio una questione di senso del tragico. Quando tutto è pronto a peggiorare lo fa in maniere meccaniche, affiancando sentimenti positivi a loro frustrazione, affastellando incidenti e furti per malmenare la protagonista nella maniera più facile. Una chiusa che associa la frase: “Per me sei più normale di chiunque altro” detto ad un ragazzo che ha un lieve ritardo (e che non è chiaro perché il film ci mostra sempre con l’inquietudine che si riserva ai serial killer) a The Power Of Love di Frankie Goes To Hollywood stende il tappeto per un’inquadratura finale sciocchissima.

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