Holly, la recensione | Festival di Venezia
Cinema di ragazzi e lutti che usa un pretesto (forse) sovrannaturale, Holly sembra avere molta carne al fuoco ma è l'esatto contrario
La recensione di Holly, il film di Fien Troch presentato in concorso al Festival di Venezia
È cinema di adolescenti nordeuropei (BENELUX principalmente), dotato di quello stile molto partecipe e vicinissimo ai ragazzi dei film scandinavi, unito all’astrazione del cinema fiammingo. Quindi sta lì, con loro, vicino alle loro facce e ai loro broncetti, ma loro sono distanti dal mondo che abitano. Come se i patemi tipici dell’adolescenza fossero più riconoscibili e evidenti in quella parte del mondo Holly non inizia per niente male. Una ragazza ha una premonizione un mattino, chiama un’amica dicendole di non andare a scuola perché si sente che accadrà qualcosa di brutto. E infatti la scuola ha un incendio in cui muoiono alcuni ragazzi.
Una scarsità di sviluppi e un’inconsistenza generale di archi narrativi, drammi e passioni nordeuropee fiacca ogni resistenza lungo Holly, film senza qualità che nel finale sembra quasi intuirlo e si affretta ad accelerare, facendo solo peggio. È proprio una questione di senso del tragico. Quando tutto è pronto a peggiorare lo fa in maniere meccaniche, affiancando sentimenti positivi a loro frustrazione, affastellando incidenti e furti per malmenare la protagonista nella maniera più facile. Una chiusa che associa la frase: “Per me sei più normale di chiunque altro” detto ad un ragazzo che ha un lieve ritardo (e che non è chiaro perché il film ci mostra sempre con l’inquietudine che si riserva ai serial killer) a The Power Of Love di Frankie Goes To Hollywood stende il tappeto per un’inquadratura finale sciocchissima.
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