Holiday, la recensione

Dentro a Holiday non c'è solo la storia di un fatto di cronaca ma una precisa visione della nostra ossessione e del rapporto con i corpi

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Holiday, il film di Edoardo Gabbriellini uscito in sala il 23 ottobre e presentato alla Festa del Cinema di Roma

Siamo abituati ad arrivare per tempo nelle storie su terribili fatti di cronaca, cioè arrivare prima che siano stati commessi, per poterne seguire l’intreccio. Oppure siamo abituati ad arrivare molto molto dopo, anni dopo, per vederne le conseguenze nelle vite dei personaggi. Holiday invece arriva in un momento particolare, che subito suona come il più interessante: quando il processo alla principale imputata (che è anche figlia della persona uccisa) è finito, lei è stata assolta e torna a casa. Non sappiamo ancora niente di preciso, solo che questa adolescente è passata attraverso qualcosa che ha catalizzato l’attenzione del paese e ora cerca di tornare a una parvenza di vita normale. 

È una situazione molto forte che Edoardo Gabbriellini sfrutta per fare in modo che tutti trattino la protagonista in modi particolari. Non si è mai considerata bella, non si è mai comportata come se fosse attraente eppure ora attira. Attira odi online e attira ragazzi prima irraggiungibili nella vita reale, ragazzi che vogliono avere a che fare con lei perché è stata sospettata (e nella testa di tutti è ancora sospettata) di qualcosa di efferato. Il caso di cronaca lo scopriamo lentamente lungo il film, oscillando tra presente e passato, cioè tra il dopo e il poco prima. Purtroppo l’unico indizio del fatto che da un certo momento in poi alcune scene si svolgono nel passato è che la protagonista ha un taglio di capelli leggermente diverso. È un po’ poco e può sfuggire, creando confusione fino a che non si capisce che esistono due piani temporali. Soprattutto questo vanifica l’idea, buona, di collegare le transizioni tra tempi diversi come in La parmigiana, cioè con suoni o immagini di un tempo che si attaccano o prolungano a suoni o immagini della scena successiva nell’altro tempo.

A prescindere da questo difetto però Holiday è calamitante per come è realizzato e quello che vede in queste persone. Per raccontare una storia che tutti avrebbero giocato sul terreno psicologico, sceglie invece i sensi (per questo è coerente che i passaggi temporali siano legati udito o vista). È estate e il film è letteralmente ossessionato dai corpi nudi sotto i vestiti. Inizia con le immagini di corpi dilaniati dalle coltellate, e prosegue immaginando le inquadrature per far intuire cosa ci sia sotto quei vestiti leggeri. Lo fa con la protagonista in primis ma anche con gli adulti, con gli uomini e con i ragazzi, ad un certo punto l’ossessione è tale che Holiday focalizza un’inquadratura sui corpi sformati di due agenti di polizia sotto le divise. È come se in questa storia su cui aleggia una morte violenta i corpi di tutti fossero esposti (anche quando vestiti).

C’è qualcosa di strano nel legame tra il criminale e l’attraente, Gabbriellini lo aveva già esplorato nel film precedente, I padroni di casa (in cui l’attrazione era quella per una star, interpretata da Gianni Morandi). Come quel film anche Holiday è prodotto da Luca Guadagnino con cui Gabbriellini ha un rapporto da tempo, ha recitato in Io sono l’amore ma è anche stato regista di seconda unità della serie We Are Who We Are (e qui la scuola in cui studia la protagonista si chiama Istituto L. Guadagnino). Non stupisce quindi da un lato che Holiday sia così ben ambientato nel nostro mondo (quello che non si può dire di molto cinema italiano, che sembra ambientato in un’Italia di fantasia in cui non si vive, non ci si comporta e non si parla come nella nostra) e dall’altro affronti questa storia dal punto di vista sensoriale, trovando finalmente qualcosa di significativo e impegnativo nel racconto dell’ossessione collettiva per la cronaca nera.

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