Hold The Dark, la recensione
Tra le nevi non c'è niente di normale e ne farà le spese un esperto di lupi che, in Hold the Dark, scende nell'inferno dell'Alaska
C’è la classica indagine a tenere insieme blandamente Hold The Dark mentre penetra in un luogo che è il senso del film, un posto d’inferno che il protagonista scopre con noi. Un bambino è stato preso dai lupi nel gelo dell’Alaska e un esperto di lupi è stato chiamato dalla madre dello scomparso per ritrovarlo, anche se morto, e fare fuori i lupi responsabili. Quello che sta per partire sembra un film abbastanza classico se non fosse che la notte prima dell’inizio della caccia, mentre l’esperto dorme in casa della madre, questa si presenta in salotto nuda con una maschera da lupo e, come in trance, le si accoccola sotto le coperte. Da qui nulla sarà più prevedibile o normale, la ricerca del bambino sarà presto superata e questo strano animismo dell’Alaska si fonderà con demoni interiori della famiglia, arco e frecce e infine morte.
Tutto in questo quarto film di Saulnier distribuito da Netflix si regge su un equilibrio complicato, a cui contribuisce bene la recitazione distaccata del cast (stile in cui Jeffrey Wright è decisamente più a suo agio, comunicativo e in armonia con il film di Skarsgård) e anche se non sempre va a segno (la trama del padre non è il massimo) e non sempre la tensione è al medesimo livello, è indubbio che si tratti di un film compatto e duro, uno che quando guarda in faccia la morte prova delle sensazioni che altrove non ritroviamo e da cui è strano e piacevole farsi penetrare.