Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate, la recensione [1]
Pur essendo il capitolo più breve della trilogia, Lo Hobbit: La Battaglia delle cinque armate risulta più prolisso e "creativo" oltre che il meno fedele
Dei tre film in cui Jackson ha tagliato Lo Hobbit forse questo è quello in cui più sono evidenti le differenze con il testo di partenza e non solo nei termini di trama o nell'uso dei personaggi, quanto nella maniera in cui agiscono. Per la prima volta nei sei film che Jackson ha dedicato al lavoro di Tolkien sembra di non riconoscere in controluce il lavoro dell'autore originale, l'austerità della sua maniera di manipolare i caratteri e la secca asciuttezza con cui racconta i sentimenti. Jackson taglia le scene prediligendo un certo sentimentalismo, si concentra su un linguaggio audiovisivo quanto più semplice e scontato possibile riducendo al minimo le trovate visive. Giunge qui a completamento quella mutazione in melodramma che già si intuiva in La Desolazione di Smaug. Dopo un inizio folgorante che dà grandissimo senso al punto in cui è stata inserita la cesura tra il secondo e il terzo capitolo, il film sceglie la via melliflua, predilige i grandissimi conflitti agli espedienti piccoli e quasi casuali, mette enfasi su ciò che in origine non ne aveva e crea showdown clamorosi quanto prevedibili nel loro esito.