Ho Ucciso Napoleone, la recensione

Non c'è quasi nulla di realmente centrato nel caos che Ho Ucciso Napoleone non riesce ad organizzare nella commedia che vorrebbe essere

Critico e giornalista cinematografico


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Il primo film di Giorgia Farina, Amiche da morire, è un piccolo gioiello di scrittura di Fabio Bonifacci, messo in scena con buona consapevolezza di cosa occorra per far realmente funzionare le ottime idee sulla carta. Ho Ucciso Napoleone invece è una sceneggiatura scritta dalla stessa Giorgia Farina (aiutata da Federica Pontremoli) molto meno a fuoco che, nella sua ultima parte, sfocia nel nonsense.

Si tratta nuovamente di un film in cui un gruppo di donne cerca di sovvertire l'ordine del mondo degli uomini con un piano segreto (ma c'è un twist). Ciò che manca non è solo quella profondità di lettura sulle figure archetipe che aveva portato Bonifacci (nella sua sceneggiatura ogni personaggio è contemporaneamente fedele al suo stereotipo e più complesso di così) tuttavia, anche volendo trascurare quel tipo di lettura, Ho Ucciso Napoleone non riesce comunque ad utilizzare le medesime armi per raccontare il ribaltamento che ha in mente.

La storia è quella di una manager in carriera che si trova licenziata di punto in bianco dalla società farmaceutica in cui si occupava di Risorse Umane. Distrutta dall'evento incolpa il direttore di cui è l'amante ed elabora un complesso piano per riprendersi il proprio posto che parte dal tenersi il bambino di lui, da che aveva intenzione di abortire. Per farlo si fa aiutare da un sottoposto, la sua talpa dentro la società, da un avvocato ansioso e da un complesso di disoccupate che orbitano intorno a un mercato nero di medicinali che si svolge davanti all'edificio dell'azienda.

In linea con moltissima commedia italiana contemporanea Ho Ucciso Napoleone non ha un'idea di ironia, di grottesco o anche semplicemente di paradossale attraverso la quale mettere in scena il mondo che ritrae, ci sono solo sparute battute, a livello di "Sono diversamente magra" detto da una taglia forte. Anche i paradossi aziendali, gli intrighi di corridoio o l'ossessione per la carriera della protagonista (invariabilmente domata dai buoni sentimenti lungo la storia) non superano mai la vulgata comune.

A salvare il film dovrebbero almeno essere gli attori, a partire dal team eterogeneo di donne, ma il gruppetto composto tra le altre da Thony, Iaia Forte e Elena Sofia Ricci è completamente disunito, non interagisce mai in maniera significativa nè al suo interno nè al suo esterno, così la sua funzione rimane incomprensibile. E di più non fanno nè Adriano Giannini Libero Di Rienzo (comunque, come spesso gli capita, il migliore), fino ovviamente a Micaela Ramazzotti, una volta tanto lontana dal suo tipico personaggio e non in grado di reggere la parte principale del film.

Infine, come già accennato, Ho Ucciso Napoleone ha un importante twist della trama che ne uccide la plausibilità, ribalta molte cose che pensavamo di sapere, con l'intenzione di capovolgere ruoli e stereotipi sessisti (in realtà affermandone altri relativi ai maschi mammoni). La svolta ingarbuglia di più invece che risolvere e sterza il cuore della storia in una direzione che sembra meno interessante della prima.

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