High Fidelity: la recensione

Zoe Kravitz brilla in questo adattamento televisivo del romanzo High Fidelity di Nick Hornby

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High Fidelity: la recensione

La cosa che colpisce oggi di Alta fedeltà, nell'accoppiata romanzo e film, è il suo essere così attuale nella fotografia di fine secolo. Come i "clerks" di Kevin Smith, i protagonisti sono nerd irrisolti, che dibattono a colpi di classifiche di una passione totalizzante – che qui è la musica – mentre accompagnano fuori dalla porta una fase adulta che tarda ad arrivare. Era la generazione X cullata da un clima più disteso e ottimista, che avrebbe lasciato il posto ad altri giovani e alle incertezze del nuovo millennio. Anche per questo motivo, è molto interessante l'idea di raccontare ancora quella storia, ma al giorno d'oggi, e con un ribaltamento di genere per il personaggio principale.

In High Fidelity Rob (Zoe Kravitz) è la proprietaria di un negozio di dischi. Confusa e indecisa, è in continua autoanalisi rispetto alle decisioni prese, soprattutto rispetto alle relazioni con altri partner (non solo maschili). Tutto si apre con una top five – la prima di molte – sulle delusioni amorose. Ma quasi nessuno di quei partner se ne è andato del tutto. Torneranno, attraverso flashback, brevi reincontri, sorprese e confessioni, insieme alla possibilità di nuove esperienze e alle ansie degli impegni duraturi.

Pensata per Disney+, arrivata su Hulu, High Fidelity convince sulla propria ragion d'essere. È una variazione interessante su una storia già raccontata. Lo è per le tempistiche, per ciò che mantiene uguale e per ciò che decide di cambiare. Non ignora il film di Stephen Frears con John Cusack, ad esempio con l'idea della protagonista che infrange la quarta parete, eppure, già per il solo fatto di essere uscita oggi, potremmo trovare tanti altri esempi simili in tv. E poi mantiene vari spunti simili, ma aggiornati alle tecnologie moderne. La "playlist" non può far altro che essere su Spotify, e cercare informazioni su una ex partner vuol dire sbirciare sui social.

High Fidelity crea così un ponte fra decenni che sembrano davvero lontani, mentre elabora un disagio generazionale che oggi appare più puntuale. Ma al tempo stesso coltiva una propria leggerezza piacevole, riesce a dosare bene dramma – soprattutto verso la fine – e commedia, come in un episodio in cui Rob incontra un'artista. Funzionano bene gli scambi al negozio di dischi con l'irruenta impiegata Cherise (Da'Vine Joy Randolph prende il ruolo che fu di un esplosivo Jack Black) e funziona decisamente bene Zoe Kravitz. Che qui probabilmente ha l'occasione di lavorare a 360° su un personaggio come raramente le era capitato prima.

C'è cura e passione nella costruzione del personaggio di Rob, e il minutaggio le permette meglio di scivolare tra le sfumature della sua caratterizzazione (è meno presuntuosa e più piacevole del Rob cinematografico) e soprattutto gli scambi con il personaggio di Clyde godono di freschezza e sincerità.

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