High Desert, la recensione

High Desert è il prodotto medio che Apple TV Plus ha spesso cercato di evitare. Unica salvezza dall'anonimato: Patricia Arquette

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La recensione della prima stagione della serie High Desert, disponibile su Apple TV+

High Desert è proprio quello che la piattaforma Apple TV Plus, per come è stata presentata e gestita in questi anni, voleva evitare: una serie passabile, indolore, da visione distratta, che si può abbandonare in qualsiasi momento senza sentirsi in colpa. Un prodotto non brutto, ma scolastico, girato con competenza senza però alcun guizzo. Gli episodi, elevati solamente dalla performance di Patricia Arquette, vagano alla ricerca di un’identità, e ottengono invece una generica piacevolezza nella visione. Quella che qualsiasi competitor sa proporre.

La trama di High Desert

Peggy (Arquette) è un’ex trafficante di droga e una (non troppo) ex tossicodipendente. Ormai troppo in là con l’età per ricominciare da capo, cerca di rimettersi in pista lavorando nelle coreografie di un’attrazione di un parco a tema. Nello spettacolo interpreta una dama\pistolera del vecchio West. Sembra goderselo parecchio vivendo alla giornata. L'arrivo del fratello e la sorella, intenzionati a vendere la lussuosa casa della madre deceduta, colpisce la sua routine. Peggy si rende conto che il suo stipendio non basta. Decide così di improvvisarsi investigatrice privata per inseguire una pista legata a un Picasso rubato che potrebbe fruttarle molti soldi.

High Desert: tante idee disordinate

Jay Roach dirige, Ben Stiller produce, per una serie che vuole stupire nella capacità di alternare registri con dimestichezza. Invece High Desert, che ricerca sia risate superficiali che emozioni profonde, non se le guadagna mai sul campo. Servirebbe una posta in gioco, e un minimo di empatia verso i personaggi, per giustificare questo andamento a sobbalzi. Invece l’impressione è che per spingere sulla commedia surreale (alla Grande Lebowsky) si sia rinunciato a tutto il resto buttando qua e là situazioni talvolta anche azzeccate che però faticano a dialogare tra di loro.

L’idea di gran lunga migliore è legata a una donna, incontrata alla fermata di un autobus, identica alla madre deceduta. Peggy la prende sotto la sua ala protettiva affascinata dalla somiglianza. In realtà il loro rapporto si trasforma subito in un'esilarante terapia di accettazione del lutto. Lei è una sorta di surrogato per dire tutto ciò che non è si sono dette e per passare ancora un po’ di tempo insieme.

Difficile invece appassionarsi a tutto il resto, popolato di figure che vorrebbero brillare per originalità, ma che appaiono stancamente derivative. L’ex marito, Denny, ha scoperto la meditazione diventando una sorta di mistico fuori di testa. Bruce, l’investigatore privato con cui Peggy vuole lavorare, è in difficoltà finanziarie, cinico, disilluso, e a pezzi. Matt Dillon e Brad Garrett ce la mettono tutta per rendere affabili i loro personaggi, ma nulla possono contro una sceneggiatura che non cura appieno i suoi strumenti. 

Peggy ha delle peculiari abilità criminali, insieme a quelle da pistolera apprese con i suoi stunt nel finto saloon, che le tornano utili come investigatrice privata. Il potenziale comico di questa bizzarra caratterizzazione non si realizza mai appieno, come se la serie volesse ottenere tante piccole cose tutte insieme, cambiando spesso idea. Non deve essere stato semplice quindi il pitch di High Desert, dove l’idea che permette di vendere il progetto al pubblico si perde in una miriade di generi e sottotrame che ne diluiscono un sapore che invece pretende di essere molto forte. 

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