The Help, la recensione
Un film che sfrutta i suoi valori, pensato e realizzato con il preciso scopo di piacere a tutti i costi, sollecitando l'aprioristica adesione a ideali già condivisi da tutti...
Tratto dall'omonimo libro uscito pochi anni fa The Help è solo l'ultimo film in ordine di tempo ad assolvere ad uno dei ruoli di cui Hollywood si autoinveste a intervalli regolari (soprattutto per ragioni economiche), ovvero quello di accostare alla storia effettiva degli Stati Uniti, una storia sentimentale, un racconto di piccoli eventi a margine dei grandi eventi che non ne illustrino lo svolgimento o i retroscena ma l'impatto che questi hanno avuto sugli esseri umani lontani dai palazzi dove si prendono le decisioni.
Per fare la sua storia sentimentale Tate Taylor rispetta tutte le infauste regole del genere. Una cornice idealizzata, ragioni e sentimenti polarizzati (cattivi che lo sono senza motivazioni e senza possibilità d'appello, buoni che lo sono per indole e non si pongono domande) e ben divisi in "squadre". Con una visione irrimediabilmente ottimistica e un attenuamento di qualsiasi possibile elemento di contrasto o di complessità riguardo la materia trattata, The Help cerca e trova lacrime facili e identificazione immediata con dei vessati pieni di dignità, valori, morale e furbizia.
Tutto giocato su un ambiente curato, una natura forte, presente ed empatica e soprattutto sui volti dei suoi protagonisti, unica soluzione ipotizzabile per mettere a tacere qualsiasi discussione. Attori congelati in espressioni-modello, pensate per reggere tutto un film e poi deflagrare nel loro opposto durante la catarsi finale. Una lacrima, un'espressione d'intensa dignità o di dura accettazione di fronte a palesi umiliazioni, zittiscono tutto e appiattiscono qualsiasi volontà di andare al di là di quello che già pensiamo e su cui siamo già daccordo.