Hell on Wheels (terza stagione): recensione

Buona terza stagione per il western della AMC, che si mantiente coerente con il percorso tracciato finora

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Se c'è una qualità che non si può proprio fare a meno di sottolineare parlando di Hell on Wheels è la sua coerenza. Ferma, rigida come i binari della ferrovia che da tre anni getta davanti al proprio cammino, risoluta nel sacrificare al proprio obiettivo le vicende corali dei personaggi che la animano, la serie ha continuato anche quest'anno ad accumulare tensioni, azioni, piccole microstorie che scompaiono come bolle di sapone e cancellano come niente interi blocchi narrativi e altre, più importanti, che invece prendono strade impreviste. Schiacciata da una serie di limiti interni e dalle soffocanti pressioni che i tre giganti seriali della AMC (Breaking Bad, Mad Men, The Walking Dead) hanno sempre esercitato, Hell on Wheels rimane nella propria nicchia, dalla quale tuttavia riesce ancora a sparare qualche bel colpo che va a segno.

hell on wheels season 3

Si inizia e si chiude con Cullen Bohannon. Perché se il nucleo narrativo della serie western ha sempre ruotato intorno alla necessaria, quasi vitale, costruzione della ferrovia che unisca finalmente gli Stati Uniti all'indomani della fine della Guerra di Secessione, è anche vero che il legno e il ferro sono stati tenuti insieme dal sudore e dal sangue degli operai e, in generale, degli sconfitti di cui il pistolero è portavoce. In tutti i sensi. Ecco quindi a ferrovia, il treno e il progresso che avanzano come corrispettivo concreto di un senso di liberazione dalle costrizioni e separazioni sociali, razziali, politiche o più banalmente umane. Il cavallo d'acciaio cambia il Paese e, attraverso di esso, vivono e prendono corpo le illusioni e le speranze di cambiamento di quanti la accompagnano.

Proprio Bohannon quindi, che dai gelidi paesaggi della prima puntata arriva approda ad un contesto completamente diverso, che solo in maniera distorta, quasi che il destino si beffasse di lui, realizza il suo desiderio di riportarlo alla coltivazione della terra. Quello di Mount è un personaggio che, oltre che di una morale per noi anacronistica, come tutti gli altri, vive di ossessioni, di obiettivi cui dedicarsi corpo e anima. Ma che in fondo rimane il sudista assassino, sconfitto in mezzo agli sconfitti. Non troppo diverso da Elam Ferguson, ex-schiavo, lavoratore libero, capo della polizia. Il sogno di una famiglia, di una casa, della conquista di uno status sociale si infrange anche per lui. La conclusione della sua storyline nel season finale è davvero spiazzante (in senso negativo) e soltanto l'eventuale quarta stagione – che speriamo venga confermata presto – ci darà qualche risposta in più.

Non c'è speranza, non c'è salvezza: il revisionismo del western spogliato di qualunque epica, nell'unico modo in cui poteva essere raccontato nel nuovo millennio, senza l'illusione di un lieto fine, senza la nostalgia per un immaginario classico. E non è un caso che il titolo del cinema citato più esplicitamente quest'anno attraverso il titolo e il tema di una puntata sia Searchers (Sentieri Selvaggi da noi, storico lavoro di John Ford che qui iniziava a scardinare alcuni elementi del "mito western" che in parte aveva contribuito a creare). In un mondo in cui il rispetto e la sopravvivenza valgono più dei legami familiari e amicali, può accadere che una donna dia via la propria figlia, che un uomo mandi a morire il proprio figlio per salvarsi, che ci si uccida tra fratelli, e che tutto questo risulti assolutamente coerente con la realtà raccontata.

Hell on Wheels distende come al solito la propria trama orizzontale lungo tutta la stagione, senza particolari urgenze narrative che non siano legate a piccole vicende, proprio come quella di Searchers, che si esauriscono nel corso della puntata. Capita quindi che vicende parallele corrano per tutta la stagione incontrandosi solo alla fine e che crisi improvvise vengano risolte nel giro di una conversazione con un futuro Presidente degli Stati Uniti. L'ambientazione rimane una delle protagoniste principali, e vive attraverso la solita fantastica fotografia, gli splendidi scenari consueti dello show e le azzeccate scelte musicali (l'accompagnamento "moderno" alle vicende non stona mai). Serie crudele con i suoi crudeli protagonisti, serie che ci ha portato via la fanciulla dai capelli d'oro (Lily quest'anno ci è mancata tantissimo), serie che non si vuole far voler bene, serie che se non eccelle nemmeno delude. La delusione più grande a questo punto sarebbe ritrovarsi con un finale così sospeso.

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