Heavens above, la recensione | Locarno74
Dei tre episodi di Heavens Above solo il primo riesce a fare un lavoro davvero eccezionale sul mutamento, la degenerazione e l'animo umano
Quando ad un vernissage in cui è presente un gruppo di uomini e donne facoltose e con la pancia piena viene affermato che: “Viviamo in una nuova età dell’oro, ci siamo lasciati alle spalle gli anni bui” quello che capiamo è l’esatto contrario. Fino a quel punto Heavens Above è riuscito tramite le sue tre storie, una in fila all’altra ambientate nel 1993, nel 2001 e poi nel 2026, a mostrare come mentre il benessere arrivava e la ex-Jugoslavia diventava altro, gli esseri umani peggioravano.
Purtroppo i tre segmenti non sono tutti allo stesso livello, solo il primo sembra davvero capace di colpire nel segno. È la storia di una famiglia povera in una baraccopoli poco dopo la divisione della Jugoslavia, tra rifugiati e povertà. Il marito è un uomo buono, una brava persona e un giorno, non è chiaro perché, gli compare un aureola sopra la testa. Se già è molto divertente come tutti vedano in questa aureola una minaccia e un nemico da sconfiggere a tutti i costi, lo sono ancora di più i metodi adottati per combatterla. Srđan Dragojević è bravissimo a lavorare come il miglior Luciano Salce di costumi, trucco e tramite una recitazione eccezionale, per mostrare l’abiezione nella maniera più divertente. E pure le singole caratterizzazioni hanno, in questa parte, una complessità sfumata che non nega il loro essere delle maschere (di nuovo come in Salce), che purtroppo manca agli altri segmenti.