Headlander, la recensione

Un Metroidvania direttamente dal retrofuturo: la recensione di Headlander

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Prima Abledo: Eyes from Outer Space. Poi The Deadly Tower of Monsters. Adesso Headlander. Ultimamente il così detto retrofuturo, neologismo utile per indicare stilemi, regia e fotografia ereditati di sana pianta dai B-Movie sci-fi degli Anni ’70 e filtrati attraverso la sensibilità contemporanea, sembra andare di moda tra gli sviluppatori di tutto il mondo. Dopo l’italianissimo progetto di Fabrizio Zagaglia e il twin stick shooter dell’ACE Team, è toccato ai talentuosi ragazzi di Double Fine immergersi nell’art design e nelle sonorità di quest’epoca cinematografica così ricca di spunti per gli amanti del sano trash di una volta.

Da questa operazione di recupero e rilettura ne è emerso un Metroidvania sostenuto da belle idee, che, purtroppo, proprio nel rush finale ostenta delle pecche che lo rendono certamente perdibile per chi non apprezza particolarmente il genere, interessante e tiepidamente consigliato a chi proprio non riesce a fare meno di una buona dose di puzzle e backtracking somministrata quotidianamente.

[caption id="attachment_159790" align="aligncenter" width="508"]Headlander screenshot 1 L’art design è curatissimo. Le ambientazioni sono coloratissime, quasi psichedeliche, la fotografia lievemente sfocata come ci si aspetterebbe da un gioco che riprende lo stile dei film degli Anni ’70.[/caption]

Le premesse sono incoraggianti e bizzarre quanto basta. In un futuro imprecisato, l’umanità ha praticamente ceduto il passo agli androidi, stretti attorno al ferreo governo del potentissimo Matusalemme, entità a metà strada tra un robot particolarmente dotato e un server in grado di comunicare istantaneamente con il suo popolo. A causare la quasi estinzione della nostra specie non è stata la classica guerra tra creatori e creature, né una rivolta armata. L’umanità, semplicemente, cedendo alla paura della morte, ha iniziato a trasferire le proprie coscienze negli stessi droidi che, progressivamente, hanno finito per soggiogarne la volontà.

Di umani in carne e ossa, insomma, ne sono rimasti pochissimi e nemmeno il protagonista di questa storia, ovviamente chiamato a distruggere l’oscuro oppressore e cambiare il destino della sua specie, può ritenersi interamente composto da pezzi originali. Ricordate le teste delle celebrità di Futurama? Stessa cosa. Nel prologo il nostro (o la nostra a seconda della scelta che effettuerete all’inizio dell’avventura) si risveglierà da un sonno criogenico, totalmente ignaro di aver perso tutto ciò che si trova al di sotto del collo.

Quello che può apparire come un grosso handicap, per un temerario che si suppone debba combattere orde su orde di malintenzionati droidi, si rivela un grande plus, nonché il cardine attorno al quale ruota il gameplay di Headlander. La suddetta testa, difatti, può liberamente fluttuare in aria grazie ad una coppia di potenti reattori. Raggiungere un condotto d’aerazione, superare un burrone, oltrepassare un cumulo di macerie che cela tuttavia una minuscola insenatura: un gioco da ragazzi, nulla di più semplice.

Come fare però per abbattere i nemici, aprire le tante porte di colore diverso che impediscono il passaggio e interagire con i computer che necessitano di falangi e dita per essere attivati? I robot sorveglianti che tengono al sicuro Matusalemme, loro malgrado tornano utili alla causa. Basta svolazzargli intorno, preoccuparsi di non essere abbattuti dai laser, dare una piccola spinta alle loro estremità positroniche e posizionare la testa dell’eroe alla cima del corpo composto da circuiti e chip.

Possedendo letteralmente i robot potrete così azionare dispositivi di ogni genere, affrontare ad armi pari le guardie e, soprattutto, aprire le porte sigillate della stazione spaziale. Ognuna di esse si caratterizza per un diverso colore a cui dovrete abbinare quello del laser in possesso all’avatar che state controllando per sbloccarla. In altri termini, buona parte degli enigmi ruoteranno proprio sulla necessità di reperire il “giusto corpo”, difenderlo dagli assalti dei nemici, sino a guadagnare l’accesso all’area successiva.

[caption id="attachment_159792" align="aligncenter" width="508"]Headlander screenshot 2 I raggi laser, una volta esplosi, hanno la tendenza a ribalzare sulle pareti. Ciò significa che spesso e volentieri dovrete cercare la carambola perfetta per colpire i vostri avversari senza rischiare di essere abbattuti dagli attacchi frontali.[/caption]

Naturalmente, spesso e volentieri, ci si ritrova costretti in lunghe fasi di backtracking ed è proprio in questi momenti che l’esperienza, inizialmente godibile e divertente, inizia a scricchiolare. Nella parte finale del gioco, diventa lampante come il ritorno sui propri passi non sia altro che un espediente per incrementare, fastidiosamente e noiosamente, la longevità del gioco. Inoltre, contravvenendo ad una regola non scritta del genere, basta consultare la mappa per scovare tutte le aree segrete, comprese quelle in cui si celano potenziamenti e abilità extra, come lo può essere un boost per i razzi che muovono la testa del personaggio, con cui accedere in altre zone della mappa. Si tratta di una scelta apparentemente incomprensibile, che indispettirà di certo gli appassionati e che non serve affatto a rendere il gioco fruibili anche ad un pubblico meno avvezzo, visto che in molte sue sezioni l’avventura sa essere particolarmente impegnativa e pretende, per questo, grande dimestichezza con il pad e un certo grado di tenacia e pazienza.

Puzzle e combattimenti presenti, ad ogni modo. Mancherebbe l’anima platform per rendere Headlander un Metroidvania che si rispetti. Altra scelta bizzarra degli sviluppatori: i robot controllati dall’eroe non possono saltare. La scelta, naturalmente, è ampiamente comprensibile solo considerandola come contraltare alla capacità della sola testa di fluttuare ovunque desideri. All’atto pratico, una tale scelta di design dona un gusto totalmente inedito alla produzione, visto che la componente platform è fondamentalmente nulla, fagocitata completamente dalla risoluzione degli enigmi, molti dei quali davvero geniali, e dai combattimenti a suon di laser, impegnativi il più delle volte.

"Headlander, purtroppo, soffre di due grandi problemi"

Headlander, purtroppo, soffre di due grandi problemi. Il primo, già citato, riguarda l’equilibrio del gameflow: quasi perfetto nella prima parte dell’avventura, completamente sballato e annacquato verso la conclusione. È come se gli sviluppatori, resosi conto di aver dato forma ad un’epopea troppo breve, avessero deciso di riciclare intere sezioni già proposte. Questo si vede tantissimo nell’art design, affascinante sulle prime, ripetitivo fino all’eccesso da un certo punto in poi, e anche negli enigmi, che perdono progressivamente originalità.

L’altra problematica del gioco riguarda invece la trama, anch’essa fondamentalmente e drammaticamente bipartita. Sulle prime dipinge un mondo immaginifico interessante, continuamente “sporcato” dallo stile, un po’ eccentrico e trash, di molte produzioni sci-fi degli Anni ’70. Poi rinuncia a svilupparsi ulteriormente. Si schiaccia, fino a sparire, sino a dare traccia di sé solo in un paio di fugaci dialoghi, poco esplicativi tra l’altro. È come se in Headlander vivessero due anime contrapposte e contraddittorie, come se una parte fosse stata sviluppata con calma, con raziocinio e cognizione di causa, prima che qualche problema (budget agli sgoccioli? Mancanza di tempo? Imperativo di proporre una longevità maggiore?) sconvolgesse l’andamento del progetto.

[caption id="attachment_159791" align="aligncenter" width="508"]Headlander screenshot 3 La qualità degli effetti speciali è fuori discussione. Solo ogni tanto, tra esplosioni, luci abbaglianti e scintille, si perde di vista la piccola testa del protagonista.[/caption]

C’è insomma un prima, molto bello e persino originale, e un dopo, deludente, noioso da giocare. Headlander appassiona finché non inizia a trascinarsi stancamente sino all’epilogo, in un finale, tra l’altro, ulteriormente demotivante.

Sembra di avere a che fare con un gioco riuscito a metà, in parte è proprio così, ma nonostante tutto, anche e soprattutto perché il peggio sopraggiunge davvero in chiusura, la creatura di Double Fine si difende più che discretamente. C’è più che altro un grande rammarico, perché le premesse erano davvero buone. Poteva essere un grande titolo e invece Headlander è “solo” un Metroidvania più che discreto che farà la felicità degli estimatori del genere, senza però ammaliare e stupire come avremmo sperato.

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