Hard Cell (prima stagione): la recensione

Pervasa da un umorismo di bassa lega, Hard Cell non convince del tutto, negando all'argomento trattato la necessaria profondità

Condividi
In inglese, l'espressione hard sell si usa sia per indicare una modalità di vendita aggressiva, sia per indicare un prodotto difficile da collocare sul mercato o, ancora, una persona che è difficile convincere. Presto spiegato il gioco di parole con Hard Cell, la nuova serie britannica ideata da Catherine Tate recentemente approdata su Netflix. E, in effetti, lo show è tanto aggressivo nel suo umorismo un po' slapstick, quanto difficile da vendere a un pubblico ormai abituato a un altro tipo di comicità.

La storia è semplice e accattivante: la svampita direttrice di un carcere femminile decide di coinvolgere le detenute nella messinscena di un musical. L'operazione, a suo dire, cambierà radicalmente il sistema carcerario, oltre a offrire alle recluse un nuovo scopo per cui impegnarsi. Come è facilmente intuibile, i preparativi dello spettacolo mettono in luce le molte crepe del progetto, a partire dal carattere irrequieto delle apprendiste attrici.

Risate triviali

Che Tate abbia un carisma stratosferico, è cosa nota da tempo al pubblico che la segue. Nessuna sorpresa che riesca a districarsi sapientemente tra ben sei ruoli (di cui uno maschile) nel corso dei sei episodi della stagione. Purtroppo, duole constatare come la sua statura d'interprete sia ben superiore a quella come showrunner; la serie procede infatti tra gag di scarsa originalità, per lo più incentrate su temi dozzinali quali escrementi e scarsa igiene.

Certo, nessuno si aspetta di sentire battute su Kant all'interno di un carcere, ma le risate che Hard Cell strappa sono più sporadiche di quanto la sua sceneggiatura pretenderebbe. Percepiamo l'intenzione di una profondità che, forse per la brevità degli episodi e della stagione, non viene mai compiutamente espressa; restano frammenti sparsi, riflessioni larvali sulla detenzione e sulla redenzione attraverso l'amicizia che, però, rimangono al mero stato di bozza.

Un ibrido che non convince

In conclusione, possiamo dire che non c'è nulla di male nel voler divertire il pubblico con battute poco raffinate; alcuni caposaldi della comicità seriale non hanno avuto paura di affondare le mani nei lazzi più scurrili (basti pensare a South Park). Ciò che impedisce ad Hard Cell di spiccare il volo non è il suo umorismo di bassa lega, ma la patina di vetustà che ammanta le sopracitate gag. Sono situazioni già viste in altri contesti, e già sfruttate in modo migliore rispetto a quanto ci viene presentato da Tate.

Stesso dicasi per la caratterizzazione dei personaggi; per un pubblico che ha seguito Orange Is The New Black, nulla di ciò che compare nella serie ha un autentico sapore di novità. Persino nei rari momenti commoventi c'è un che di ritrito, un sentore di déjà-vu che tarpa irrimediabilmente le ali al potenziale coinvolgimento emotivo del pubblico. Peccato: le premesse per una comedy amara c'erano tutte, e duole constatare come alla qualità degli ingredienti non sempre corrisponda un eccellente risultato.

Potete rimanere aggiornati sulla serie grazie ai contenuti pubblicati nella nostra scheda.

Continua a leggere su BadTaste