Hanno ucciso l’Uomo Ragno - La leggendaria storia degli 883, la recensione: un viaggio negli anni ’90 dal linguaggio universale

Hanno ucciso l’uomo ragno lavora su due livelli: è un racconto di formazione e un omaggio alla leggenda del gruppo. Diverte, grazie alla sua anti-epica ed è universale nel suo linguaggio. Un po' come le canzoni degli 883.

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La recensione di Hanno ucciso l’Uomo Ragno - La leggendaria storia degli 883, disponibile su Sky e Now dall’11 ottobre. 

Quella degli 883 non è la storia dei soliti “supereroi” della musica, semmai è quella della loro versione in borghese. Non Spider-Man, ma Peter Parker. Non i personaggi pubblici, ma i ragazzi di Pavia. Questa chiave di lettura è quella che salva Hanno ucciso l’Uomo Ragno dall’essere un tradizionale biopic musicale, uno di quelli già visti mille volte. La serie ideata da Sydney Sibilia è altro: una storia su ciò che fa la noia a degli adolescenti non troppo belli e nemmeno intelligenti, ma determinati a conquistare le ragazze e il lavoro dei sogni. Possibilmente facendo entrambe le cose insieme.

Nel bene e nel male gli episodi sembrano una canzone degli 883. Sono semplici, a volte ingenui e “amatoriali”, a volte palesano fin troppo le loro intenzioni, eppure sono irresistibili. Tra le cose che non funzionano c'è soprattutto il trucco di Elia Nuzzolo nei panni di un giovane Max Pezzali. L'attore fa un lavoro interessante sulla voce, ma risulta spesso artificiale alla vista rispetto agli altri personaggi più naturali nell'aspetto. L’impianto narrativo è invece molto furbo e azzeccato: è una storia romanzata, basata su quanto raccontato dai veri Max Pezzali e Mauro Repette nelle biografie, ma soprattutto attinge a quanto della loro vita si può dedurre dai testi delle canzoni.

Così la serie è piena di easter egg che diventano però parti integranti del racconto. La birra scura, presente nel testo di Non me la menare, una rana che non vuole sapere di buttarsi nel Ticino come ne La rana e lo scorpione o la tempesta che arriva all’improvviso come in Fattore S. C’è una sorta di "regina del celebrità", o per lo meno del liceo, la bella e impossibile Silvia. Il rischio, con lei, è di ricadere nella "regola dell'amico" (la moderna friendzone). C’è anche Cisco, un personaggio che nella serie si comporta proprio come viene descritto nelle canzoni degli 883. Un saggio a modo suo, filosofo delle cose più terra a terra della vita, stratega della seduzione e motivatore con frasi tranchant (come cantato ne La dura legge del gol). Il secondo migliore amico. È questana macedonia di ispirazioni che funziona abbastanza bene, anche se in maniera discontinua negli episodi centrali. La "leggenda" degli 883 viene da una piccola parabola di successo personale che porta con sé una lore enorme. Conoscerla permetterà di accedere a un secondo strato di divertimento.

Sibilia dirige semplificando sia la scrittura che la messa in scena, meno pomposa del suo solito. Lo seguono a ruota Alice FIlippi e Francesco Ebbasta allineandosi sul suo umorismo. Questo approccio "a carte scoperte" giova però all’immediatezza di una serie che si gioca l'aggancio del pubblico nel sottrarre l'arrivo delle canzoni (grande idea per un'opera che parte proprio dalla musica!). Hanno ucciso l’uomo ragno - La leggendaria storia degli 883 non solo è particolarmente piacevole da seguire ma è, a sorpresa, molto divertente. Il primo episodio inizia e termina con un paragone con Albert Einstein. Eppure qui non si parla di geni, bensì di perdenti. Di gente che cerca di trovare un senso cosmico alla propria bocciatura o di un giovane a cui manca “tanto così” per diventare eccellente. Sta proprio nel pollice e nell’indice separati ad indicare uno spazio piccolo di miglioramento il gesto che riassume tutto.

Proprio come nelle canzoni degli 883, sono le piccole cose a diventare elementi fondamentali di una narrazione che trova il suo bello nell'estrema soggettività. Una postazione da deejay troppo costosa si trasforma nella motivazione per 3 mesi di lavoro come animatore estivo. Il bacio di una ragazza cambia la vita perché fa venire voglia di comporre una canzone. La maturità fatta di corsa tra la TV e l'esame orale. Il successo che rende alieni. Una leggenda, quella degli 883, privata di ogni componente epica. Divi per caso, ragazzi come molti che si trovano a destreggiarsi tra problemi normali (gli esami) e quelli da superstar. Come dei personaggi da fumetti, o da canzone. 

Hanno ucciso l’uomo ragno è l’adattamento migliore che si potesse fare della leggenda degli 883. Non racconta Max Pezzali e Mauro Repetto con la prospettiva adorante del biopic. All’opposto: parla di due perdenti che si trovano per caso a vincere. Due ragazzi di provincia che avevano un sogno da realizzare, ma potevano farlo solo restando se stessi. Così facendo la serie raggiunge il suo vero scopo: esplorare gli anni ’90 e la paradossale semplicità di un decennio pieno di ambizioni.

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