Hannibal 3x03, "Secondo": la recensione
Trasferta lituana per Will Graham sulle tracce di Hannibal, tra incontri inaspettati e la scoperta di un se stesso sempre più simile al proprio "namaka"
“Forse sono stato impulsivo.”
“Stavi ponderando di essere impulsivo da quando hai deciso di servire
il Punch Romaine.”
Era mancato un po' di sano humour in queste prime puntate di Hannibal, e non stupisce che sia proprio lo psichiatra cannibale, disinvolto nelle nuove vesti di studioso di letteratura italiana, a farne sfoggio a pochi secondi dall'ennesimo omicidio perpetrato nella propria sontuosa dimora fiorentina. “Tecnicamente, l'hai ucciso tu” dice Hannibal (Mads Mikkelsen) a Bedelia (Gillian Anderson), dopo che la donna ha estratto il punteruolo dalla testa del Professor Sogliato, nel tentativo – riuscitissimo – di far schiodare la donna dalla confortante posizione di osservatrice in cui sembra volersi rintanare. Il senso di ineluttabile rovina verso cui veleggiano i protagonisti è veicolato, in Secondo, da tre motori potentissimi (amore, tradimento e perdono), mentre la spirale di sangue si stringe attorno al dottor Lecter. Ma la sua imprudenza è calcolata al millimetro, come Bedelia intuisce: il predatore, stavolta, vuole essere cacciato, e sta attirando verso di sé tutti gli antichi amici.
Non è solo nella sua esplorazione: gli occhi a mandorla della splendida Chiyo (Tao Okamoto) lo seguono e lo braccano al pari della selvaggina che si muove nel parco del castello, in attesa d'essere cacciata. Il rendez-vous tra i due sembra un dialogo tra sedotti che parlino del medesimo amico-amante perduto (in giapponese, nakama), e non c'è nulla di inconsapevole nella costruzione del loro dialogo incentrato in tutto e per tutto su Hannibal e, più che altro, sulla sua totale e incontrastata capacità coercitiva. Ma c'è di più: sulle tracce della propria nemesi, Will sta costruendo una nuova identità che ricalca i gesti e, peggio ancora, le intenzioni del cannibale. Come Hannibal aveva liberato l'essenza più nascosta di Will spingendolo all'omicidio di Randall Tier, così Will si propone di liberare Chiyo dal suo ruolo di carceriera, portandola a uccidere il suo prigioniero – o meglio, il prigioniero di Hannibal. E non è un caso che, in un finale agghiacciante, il cadavere dell'uomo venga agghindato a mo' d'insetto (allusione all'acherontia atropos del Silenzio degli Innocenti?) a ricordare il discorso di Hannibal in Su-zakana, che paragonava Will a un bozzolo misterioso.
Non sappiamo se e come Hannibal tenterà la via del cannibalismo nei confronti di Will, ma possiamo affermare con buona probabilità che, per una volta, l'atto divoratore non sarebbe figlio di un bisogno di supremazia, ma di un anelito alla catarsi. Forse Hannibal ha già sperimentato questa bizzarra metodologia di perdono con Misha, sorella defunta sulla cui scomparsa aleggia ancora il più fitto mistero, alimentato dalle contraddittorie versioni di Chiyo e Bedelia. Forse verrà fatta chiarezza su questo ennesimo punto oscuro del passato, o forse no; poco importa, in fondo, perché non c'è trauma che giustifichi il mostro - nel senso di unicum - che Hannibal è divenuto, così come non c'è cicatrice che giustifichi la deriva (a)morale di Will. È proprio questo il punto di forza della serie creata da Bryan Fuller: spingere i propri personaggi nella nebbia dell'incertezza,facendo loro intraprendere percorsi sempre diversi, eppure mai incoerenti.